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ll disastro di Messina terrore e dilettantismo

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..Attendete prima di diffondere la notizia, qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo». Nonostante il tono falsamente rassicurante Giovanni Giolitti aveva perso il consueto aplomb nei confronti dei giornalisti che in quel 28 dicembre 1908 pressano il presidente del Consiglio per sapere cosa sia accaduto all'alba a Messina. Sbaglia, Giolitti, perché se non è la fine del mondo ci si avvicina molto. A Roma non avevano creduto agli effetti del mostruoso terremoto descritti nella secca sintesi del telegramma di un ambulantista postale fortunosamente spedito dopo tre ore di marcia a piedi: «Messina distrutta». È il comandante della torpediniera Spica a fotografare l'accaduto con un telegramma inoltraqto alle 14,50 e giunto alle 17,35: «Ore 5.20 terremoto distrusse buona parte Messina - Giudico morti molte centinaia - case crollate sgombro macerie insufficienti mezzi locali - urgono soccorsi per sgombro vettovagliamento assistenza feriti - ogni aiuto sarà insufficiente». Il comandante Belleni sbaglia su un solo punto, quello delle vittime che crede essere solo poche centinaia, ed è profetico su un altro, l'insufficienza dell'aiuto. È un disastro senza precedenti, che fa impallidire persino il ricordo del sisma di San Francisco. Per trenta secondi, che sembrano interminabili, un invisibile e gigantesco pugno martella Messina e Reggio spazzando via cose e persone. I morti saranno centocinquantamila. Quei trenta secondi mettono anche impietosamente a nudo la fragilità dell'Italietta dei primi del Novecento. Quando i primi marinai italiani giungono nella città, i marinai russi e inglesi già da un giorno scavano a mani nude. Giorgio Boatti coniuga in «La terra trema — Messina 28 dicembre 1908» (Mondadori, 414 pagine, 18.50 euro) il rigore della ricerca storica a uno stile coinvolgente che fa scorrere il saggio come un romanzo di genere catastrofico, dove però tutto è realmente accaduto. Il disastro, che ha annichilito la città e i suoi abitanti, disvela impreparazione e dilettantismo mascherati da interventi fuori tempo e fuori luogo. Il decisionismo è solo quello delle fucilazioni sommarie contro lo sciacallaggio, mentre a Messina manca tutto e l'unica idea ritenuta praticabile è la deportazione dei superstiti. Boatti, sullo sfondo della meticolosa ricostruzione dipinge il ritratto di un Paese che si guarda allo specchio e vede di sè l'immagine deformata di quel che è e non di quel che avrebbe voluto essere».

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