Giovani poeti nemici della lirica
Inoltre, è presente un numero di donne che, senza essere maggioranza, è sicuramente il numero più alto nei confronti delle tante antologie apparse nel corso del secolo passato. Ciò contribuisce anche a rendere questa silloge variegata e difforme, con un comune denominatore che sembra unirli un po' tutti, rappresentato da un fatto assolutamente nuovo nella nostra vicenda del creativo poetico: nessuno di loro ha inteso compiere una operazione letteraria, come ricordano i due curatori, e neppure scrivere su modelli precedenti che hanno dato vita e vigore alla nostra storia della poesia novecentesca. Se qualcuno volesse documentarsi, basterà sfogliare i due corposi volumi dei «Poeti italiani del secondo Novecento», curati dallo stesso Cucchi e da Stefano Giovanardi (ed. Mondadori), oppure i due volumi, anch'essi antologici, di una nuova rivista, «Poeti e Poesia» edita da Pagine e diretta da Elio Pecora. I dati, i documenti conoscitivi ci sono tutti, insomma, anche per stabilire in quale misura i giovani di oggi che si dedicano al laboratorio della poesia, della scrittura in versi, abbiano preso le distanze in modo talvolta alquanto drastico e severo nei confronti dei padri, putativi o non: il recupero della normalità, e quindi l'assunzione di una posizione fortemente critica nei confronti della banalità mediatica dell'universo contemporaneo, è un fatto che invita alla riflessione: non che il dribblare la letteratura in quanto tale debba rappresentare un rifiuto netto e totale, ma indubbiamente la liricità, si voglia o non si voglia, mito di appartenenza alla poesia di ogni tempo, è a loro estranea, anzi in alcuni c'è perfino la tendenza a combatterla in campo aperto, ma non in modo dissacratorio, bensì come meccanismo di difesa ormai poco efficace: «Il copione non prevede rapidi scambi/ di scena, incontri a mezzanotte, baci - scrive Matteo Zattoni di Forlì, classe 1980, prossimo avvocato - sotto la luna piena, è una particina - che chiunque potrebbe fare - anche senza attore - ma bisogna farla bene, col cuore». Ecco come cambia il punto di riferimento: i battiti non obbediscono più alla scansione del sentimento lirico, e neppure a quello ungarettiano del tempo, bensì all'urgenza di documentare la propria condizione esistenziale al cospetto dell'indifferenza del mondo circostante. Ecco Fabrizio Bernini, classe 1974, vive in un paesino vicino a Pavia, frequenta lettere all'Università che fu di Maria Corti: «Sotto una pioggia d'ottobre - passano a rimbalzi certe schiere che non hanno più che una danza - nelle spalle disilluse -. È carne, e per questo si consuma...». Più esplicito, meno metaforico, il linguaggio femminile, forse a conferma di una più sottesa indignazione: «Chiamarli forni, - come se il corpo diventasse pizza, - sfarinandosi e arrossandosi, - il fuoco che inverte la bravità ai capelli: - si accalcano all'uscita - come radici che cercano la luce, - elastici lanciati contro il muro». Altre ragazze/poetesse, Silvia Caratti per esempio, classe 1972, di Cuneo, aspirante musicista al Conservatorio di Torino, percorre una strada che sospinge la parola poetica verso un solo spazio all'apparenza salvifico: «I metalli sotterranei - indicano la via della purezza - il nocciolo duro - il nucleo imparziale - come unica prospettiva di salvezza». E così via. Chiaramente questa antologia di «nuovissimi» (ma non nel senso degli anni Sessanta...), non intende fornire un panorama completo della giovane poesia di oggi; altri nomi occupano la mente, quello di Mat