Erano gli anni in cui i motori profumavano

Nella propaganda pubblicitaria per l'evento artistico spicca un'opera di Ivo Pannaggi: un robot «Sciatore» del 1926 che richiama ai bozzetti e ai costumi che il pittore marchigiano aveva preparato per il dramma «L'angoscia delle macchine» di Rugero Vasari, mentre a Parigi era Vera Idelson a collaborare per le scene e i costumi, nella presentazione della stessa opera allo Studio Art et Action. Pannaggi, insieme a Paladini, cui poi si sarebbe congiunto Enrico Prampolini, aveva pubblicato nel 1922, in un rilancio della rivista «Lacerba», un «Manifesto dell'arte meccanica» dove era dichiarato «l'impellente bisogno di liberarci dagli ultimi avanzi di vecchia letteratura, simbolismo, decadentismo, per attingere a nuovi spunti di rivolta per ciò che è la nostra vita. Dalle macchine». I promotori sono affascinati dalle nuove forme imposte dalla meccanica moderna. «È la macchina che distingue la nostra epoca». «Pulegge e volani, bulloni e ciminiere, tutto l'acciaio pulito e il grasso odorante (profumo di ozono nelle centrali)» E quindi non più paesaggi e figure, «ma l'andare delle locomotive, l'urlare delle sirene, le ruote dentate, gli ingranaggi». «Ci sentiamo costruiti in acciaio». Tutto era già stato anticipato da F.T. Marinetti nel 1909 nel «Manifesto di fondazione del Futurismo»: «Noi canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali, le officine, i ponti, i piroscafi avventurosi, le locomotive, e il volo scintillante degli aeroplani». Nasceva, dalla «modernolatria» di Boccioni, la «macchinolatria», e i poeta Luciano Folgore scriveva «Il canto dei motori». Fedele Azari auspicava la fondazione di una «Società di Protezione delle macchine». La mostra di Palazzo Cavour ha per sottotitolo «Balla e il futurismo torinese» e ricchissimo è l'apporto che i futuristi locali han dato alle originali concezioni di Marinetti. Figurano in primo piano Balla, un «romano» nato a Torino, autore con Depero della programmatica «Ricostruzione futurista dell'universo», e Fillia, Oriani, Djulgheroff, Mino Rosso, Alimandi, Costa, che sono i «Cinque pittori e uno scultore» di cui trattò nel 1962 Enrico Crispolti nel suo volume «Il secondo futurismo. Torino 1923-38». Vediamo nella affascinante mostra un cospicuo numero di opere di Balla. Del tutto giusto che sia stata Torino, «città della macchina», a illustrare con significative opere l'estetica della macchina.