Albert Londres il re del giornalismo che fu profeta dell'Olocausto
Si tratta,infatti, di un libro famoso di un giornalista francese famoso, uno dei più conosciuti inviati speciali dei primi decenni del secolo scorso morto a soli quarantotto anni, nel 1932, in un nubifragio. A Londres, che aveva girato il mondo in lungo e largo, si deve nel 1923 una serie di articoli - quelli che gli dettero la celebrità - che contribuirono in maniera determinante alla chiusura del bagno penale della Caienna, nella Guyana francese. Al suo nome è intitolato un premio giornalistico che viene conferito annualmente in Francia. L'«Ebreo errante è arrivato» è stato più volte pubblicato in Italia; la prima edizione è a Parigi nel 1930. In ventisette stringenti capitoli Londres, con uno stile che è ancora oggi studiato nelle scuole di giornalismo, racconta le varie facce del popolo ebraico lungo le tracce di un lungo viaggio iniziato nel soggiorno londinese di Whitechapel e poi proseguito nei Carpazi, nella Transilvania, nella Bessarabia, nella Bucovina, nella Galizia, nel ghetto di Varsavia fino all'approdo nella Terra promessa colta in una fase di attesa e di tensione. È noto cosa si debba intendere per l'Ebreo errante, figura da leggenda di un figlio d'Israele gravato dalla condanna di vagare per l'eternità solo munito di cinque monete che non finiscono mai, poiché si rinnovano di continuo. Il dato erratico legato alla leggenda viene da Londres assunto a paradigma di una realtà poliforme, di una condizione umana che egli racconta, qualche volta in maniera veramente divertente, cui è intrisa una realtà che appare difficile da capire, ma la difficoltà non è alibi per non sforzarsi di capire. L'errare come condizione esistenziale del popolo ebraico; di un popolo, si legge, «che deve sempre avere il suo bastone da viandante a portata di mano, perché le leggi del Paese che l'ha accolto a volte gli diventano così ostili da costringerlo a cercare altrove la sua vita. Un popolo così, quindi, non deve sprecare i suoi soldi, ma metterli da parte per la fuga. È il denaro il vero passaporto degli ebrei» (p.150). In pagine piene di crudezze, di paradossali situazioni, di altrettanto paradossali psicologie singole che collettive, viene fuori, a poco a poco, con garbo e stile, la dimensione storico-culturale di un popolo nel quale si situano realtà e modi di vita diversi ed una cosciente consapevolezza di essere popolo pur nell'assurdità della diaspora e nelle durezze ed incomprensioni che deve talora subire. Ed accanto alla realtà ed alle sue repliche talora feroci, la mitezza e la bellezza del sogno, dell'attesa e dell'ansia per il ritorno, la certezza di un approdo che è possibile perché è segnato dalla forza della Parola. In tal modo Londres profila la complessità dell'ebraicità e dell'ebraismo senza dichiararlo, solo raccontando e la narrazione è già analisi culturale, antropologica, sociologica; dato strutturale di una storia grande e tragica, sempre presente e, per tanti aspetti, sempre irrisolta. Oggi il libro si legge sapendo che nel periodo successivo a quello raccontato da Londres vi è stata la Shoah e la ferita della questione palestinese e, per molti aspetti, qui si ritrovano gli antefatti dell'una come dell'altra. Anche per questi motivi il libro è una lettura preziosa per capire,tanto più visto che esso non risente dell'usura del tempo e, forse, la sua freschezza, al di là dei meriti dell'autore, è anche la cifra di un problema che vede l'ebreo ancora a rischio di errare.