Bruno Vespa: «Io sono solo quello che racconto»
Una proposta che mi ha entusiasmato tanto. Ho parlato a lungo con Berlusconi, Prodi e tutti gli altri protagonisti della vita politica italiana. Ho cercato di raccontare i retroscena di ogni avvenimento. Un modo anche per consolidare il tradizionale legame con i miei lettori che ringrazio sempre. Un libro un po' voluminoso ma che si può leggere anche a puntate». Un consiglio su un capitolo in particolare? «Le ultime cento pagine. Leggere per credere». La sua prima tessera da giornalista a quanti anni? «Avevo soltanto quindici anni. Una rivista satirica locale "Ju Raschiu". Una serie di pezzi sui concittadini aquilani illustri». E poi? «E poi proprio al quotidiano "Il Tempo". Ho cominciato a scrivere di sport, tennis, calcio, gli spogliatoi del dopo-partite, il rugby. Lo sport lo raccontavo come occasione di costume. Amo da sempre guardare tutto e parlare di tutto». È tuttologia? «No, cerco di far emergere dagli altri quello che hanno dentro. Il mestiere di giornalista è proprio bello per questo. Ho incontrato tanti politici, tanti terremotati, molti cantanti e molti sportivi». È stato anche alla radio? «Sì a 18 anni. Mi innamorai perdutamente di questo mezzo di comunicazione. Contentissimo ancora oggi di quella esperienza. Mi interessavo della transitabilità delle strade dell'Abruzzo e Molise». Nella sua vita ha sempre garantito la "par condicio"? «Sempre. Ed è proprio vero. Sin da quando ho cominciato a fare il giornalista. Garantivo i missini e i comunisti. Mi telefonavano se volevano comunicare qualcosa». Qual è il suo modo di lavorare? «Non riesco a scrivere niente che non abbia visto. Non riesco ad inventare. Non ho un vero archivio. Non copio quello che hanno scritto gli altri». Ma dove ha imparato il mestiere? «Sul campo. Sono stato educato a fare il giornalista da certi vecchi mascalzoni, detto con affetto, della cronaca nera. Mi hanno insegnato i trucchi del mestiere. Anche farsi dare tutte le fotografie di una persona morta affinché la concorrenza non ne trovi più. Non ho mai rubato le foto ma ho sempre convinto i familiari a darmele». Le manca il Tg1? «È stata un'esperienza stupenda, speciale, entusiasmante, aggregante. Appartiene al mio passato che ritorna sempre. Comunque "Porta a Porta" è davvero un qualcosa che ogni sera ti regala emozioni diverse e arricchisce il mio lavoro. Un contatto quotidiano con i telespettatori di Raiuno che con la tensione ridanno a me slancio e forza ogni puntata». Usa il computer? «Mi ci sono convertito nel 1992 proprio da direttore del Tg1. In redazione fu quasi rivolta. Poi il primo telegiornale fu il Tg1 ad adottare questo metodo». Scriverà ancora libri? «Me lo auguro. È un altro modo per comunicare con gli altri».