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Grande eclettico ma voleva esser chiamato solo poeta

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Benché avessi dedicato alcuni anni di studio e alcune centinaia di pagine a Marinetti, non sapevo che sui suoi bagagli di assiduo viaggiatore era applicata un'etichetta con sopra scritto «F. T. Marinetti - Poeta». Come disse una volta Edwin Cerio, leggendario sindaco di Capri, Marinetti fu «uomo plurale». Infatti, senza dire che fu appellato con una sorprendente varietà di nomi - da Tom ad Effetì, da Filippo a Emilio Angelo Carlo - egli fu un dottore di leggi, un oratore, un ufficiale combattente, un tombeur de femme, uno sposo fedele, un uomo politico, un fumatore accanito, un autore teatrale, un bettoliere, un editore, un prodigo, un parsimonioso, un narratore, un accademico d'Italia a cui toccava il titolo d'Eccellenza, un «novatore» che, nella memoria sempreverde della propria adolescenza alessandrina, si tenne anzitutto, soprattutto e forse esclusivamente per quel che si dichiarò nelle targhette che accompagnarono le sue valigie e i suoi bauli: un poeta. Ci son voluti novant'anni, e anche più, perché la critica paludata riconoscesse in Marinetti un poeta importante del Novecento italiano: e pour cause, se si pensa ai danni che egli recò a tutta la schiera tronfia dei «passatisti», titolari di cattedre non solo, bensì di giudizio e di potere. Scrisse bene Luciano De Maria nella prefazione al mondadoriano «meridiano» dedicato a Marinetti: perché è vero, è verissimo che egli dovette passare attraverso la denigrazione, la derisione, l'ostilità sfacciata di una pletora di censori oramai scomparsi sotto la polvere del tempo. Mi ricordo che quando conducevo le ricerche per la mia biografia di Marinetti trovai, nell'Archivio dell'Accademia d'Italia, in deposito presso i Lincei, una lettera d'un professore d'Università che lo accusava al presidente Federzoni. «E' indegno - rilevava lo scrivente - che il Martinetti pubblichi sul Giornale d'Italia articoli senza virgole». Mussolini ebbe per lui stima e amicizia, ricambiate sino alla fine. Sia a Villa Torlonia e sia nella romagnola Rocca delle Caminate il Duce conservava opere futurista: e la cordialità verso Marinetti non venne meno quando gli riferirono che il poeta - avverso ai tedeschi, che a loro volta lo detestavano - si era detto contrario alla guerra: la guerra, però, a cui non si sarebbe negato, andando a combattere in Russia, sul Don, all'età di anni sessantasei. Ma i gerarchi fascisti, gl'ingessati personaggi in orbace, non solo non lo amarono, ma lo avvertirono come un fastidio. Egli era il movimento e loro l'istituzione, i due poli d'una contraddizione che è sempre senza scampo.

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