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Il protagonista, chef di prim'ordine, incontra una vecchia conoscenza che lo riporta ai tempi degli 007 divisi fra le due Germanie

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Però, il fantasma paterno evidentemente lo insegue e lo ha sospinto verso il genere thriller, che è poi un tipo di giallo molto particolare, diverso dalle tradizioni del romanzo poliziesco che il gran padre perseguiva con tanto successo. Certo, le divaricazioni fra giallo e thriller sono minime e Sallés le sfrutta tutte, senza nulla lasciare di intentato per distanziarsi da quella marcatura stretta. Intanto, oltre che l'uso del castigliano, c'è anche in questo suo primo romanzo, «Papaveri neri per Roddick», l'utilizzo di una tecnica di montaggio cinematografico, come fondamentale derivante da studi compiuti fin dagli inizi sul terreno filmico, un genere nel quale ha molta esperienza. Non solo, ma pirandellianamente (il sentimento del contrario che congiunge e coniuga gli opposti) eccolo ficcare il naso tra i fornelli come faceva suo padre, e inventarsi una bella storia «suspense» in un rinomato ristorante di Barcellona, dove Michael Roddick, chef di prim'ordine, di null'altro preoccupato se non di affogare uova in salsa olandese, si ritrova con la memoria volta verso un tempo lontano in cui più che salsa trattava di sangue. Basta un'antica conoscenza che capita all'improvviso nel suo locale, perché Michael veda riaffiorare un passato da dimenticare: è un cliente che va a sedersi al tavolo cinque, e mentre attende il menu, si preoccupa di scagliare nella mente di Roddick ombre del passato che diventano fantasmi di morte. In realtà, il buon personaggio centrale è stato a suo tempo agente segreto della Repubblica Federale Tedesca, nel momento in cui le spie, appunto, erano coloro che muovevano le pedine sull'insanguinato scacchiere del mondo diviso fra democrazie e tirannidi. Anzi, c'è un segnale convenuto che si ritrova poi nel titolo del romanzo, poiché ricevere un papavero tinto di nero voleva dire esecuzione avvenuta. Però un filo di speranza restava ancora: «Non c'era alcun papavero nero a segnare la sua impronta sul velo di brina grigiastra che copriva il parabrezza dell'auto. Aspirai l'aria ghiacciata prima di mettermi alla guida. Pareva che la strada verso Ginevra sarebbe stata una passeggiata solitaria senza contrattempi». E invece... Nuovamente coinvolto nel gioco, pesante e misterioso, Roddick si ritrova al centro di un'avventura che considerava chiusa per lui, per sempre. Si apre una furibonda caccia all'uomo che conduce il nostro in corsa frenetica in giro per l'Europa intera, inseguito senza speranza, più che da figure reali con cui fare i conti, anche fisicamente, piuttosto da spettri imprendibili, con piume di fantasmi inafferrabili. Anche se poi c'è un presente con cui dover fare i conti, in modo altrettanto tragico: la vita di sua figlia, esposta a mille pericoli e ad altrettanti tentacoli di ansia vendicativa. Per chi lo ricorda frugoletto fra le braccia del padre, l'uomo più buono della terra per chi lo ha frequentato e ha riso e sorriso con lui, è una scoperta: da una semplice e lineare vicenda, Sallés riesce a estrarre come da un magico cilindro un'avventura mozzafiato, senza respiro, sorretta dal supporto di una prosa veloce e repentina, laddove gli eventi lo richiedono, addolcita dalla lentezza della ricomposizione, in quei pochi frangenti in cui casi di pace invadono un io profondo in fibrillazione. L'imprevedibilità dell'azione successiva, insomma, viene preparata accuratamente più che da descrizioni febbrili o asmetiche, da vere e proprie carrellate cinematografiche, che tuttavia non denotano i vuoti che di solito evidenziano gli scrittori di cinema, ma piuttosto l'ansia, il bisogno di affrancarsi proprio da quelle ipoteche. Tutto questo, l'esile trama, inserita in un contesto che non dimentica affa

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