IL DOPOCANNES
T-shirt nera e il suo modo bizzarro di parlare gesticolando, il regista di «Pulp fiction» ha difeso più volte questa scelta: «Fahrenheit 9/11 è stato il miglior film in competizione - ha replicato - Non abbiamo considerato tanto le cose che vengono dette da Michael Moore, anche perchè queste sono già venute alla luce nei media americani, ma piuttosto l'aspetto satirico, ironico del film e anche la sua scelta dei tempi giusti. Un film non deve necessariamente avere delle buone immagini, può essere profondo, far ridere; non contano le immagini. Vedere le foto dei prigionieri torturati con un sacco di plastica in testa mi ha costretto a girare la testa, ma mi hanno anche molto commosso». Ma, in una giuria che, come ha detto sempre il suo presidente «ha bevuto molto, mangiato e discusso tantissimo su ogni singolo film e in modo democratico», c'è chi sembra aver preso le parti di Moore da un altro punto di vista: «In Fahrenheit si ride e si piange - dice Emmanuelle Beart - ma non si può considerare un film anti-americano, ma un lavoro che parla in un altro modo dell'America». Per il regista cinese Tsui Hark, è semplicemente un film «choccante che parla di drammi reali ed umani». Mentre per l'attrice americana Kathleen Turner, il lavoro di Moore «inaugura un nuovo genere di film». Ma arrivano da parte di Quentin Tarantino anche le valutazioni sugli altri premi. Su quello alla sceneggiatura andato a Bacri e ad Agnes Jaoui (Comme une image) «è stato il più facile da assegnare»; mentre del film tailandese «Tropical malady» (Premio della Giuria) ne parla come di «una forza della natura». Di «Old boy» il film coreano che si è aggiudicato il Grand Prix: «È un film che ci ha trovato tutti d'accordo». A margine della conferenza stampa è stato poi chiesto a Tarantino cosa ne pensasse del film italiano «Le conseguenze dell'amore» di Paolo Sorrentino, unico film in concorso per il nostro paese: «Qualcuno in giuria - ha detto il regista - lo ha difeso».