di GIANFRANCO DE TURRIS Il Gordon Pym di Poe ha avuto due seguiti ideali.
Assai più complesso il romanzo che H.P. Lovecraft scrisse nel 1931 e pubblicò nel 1936, un anno prima della morte, a puntate su Astounding Stories: «At the mountains of madness». Lovecrat era un devoto di Poe, che considerava uno dei suoi maestri, insieme a Lord Dunsany, Blackwood e Machen, e tutto il romanzo è costellato di riferimenti al Gordon Pym per concludersi con un'esplicita citazione: quell'enigmatico richiamo - Tekeli-li, Tekeli-li! - per il quale non esiste spiegazione. Opera fondamentale perché, nell'"oggettivo" resoconto di una spedizione organizzata della Università Miskatonic di Arkham in Antartide, Lovecraft espone finalmente in modo dettagliato la cosmogonia dei cosiddetti "miti di Cthulhu", la descrizione esaustiva di una civiltà extraterrestre non-umana discesa sulla Terra millenni prima della comparsa dell'uomo, e l'orribile scoperta che fanno gli esploratori: essa ha lasciato lì, sotto i ghiacci del Polo Sud, "i suoi servitori"... È almeno dal 2002 che si parla di una versione cinematografica de «Le montagne della follia»: regista dovrebbe essere Guillermo Del Toro, noto per essere autore di alcuni horror che hanno riscosso un buon successo fra gli appassionati. C'è molta attesa e tutti sperano che per Del Toro avvenga quel che è successo per Peter Jackson, anch'egli in precedenza noto per alcuni originali film dell'orrore ma esploso con «Il signore degli anelli». Però, oltre alle proprie capacità, ci vogliono molti soldi per produrre quegli effetti speciali come quelli che sono stati il nerbo della trilogia filmica tolkieniana. Il fatto che il produttore di Del Toro sia la Dreamworks di Spielberg potrebbe far ben sperare. Il fatto è che Lovecraft è un autore sfortunatissimo nelle riduzioni cinematografiche: film direttamente ispirati a suoi romanzi o racconti come «La città dei mostri» di Roger Corman (1963), «La morte dall'occhio di cristallo» di Daniel Haller (1963), «Re-animator» di Stuart Gordon (1986), «Dagon» ancora di Stuart Gordon (2001), solo per citarne alcuni, in genere sono pasticci di varie tematiche lovecraftiane: non solo tradiscono le trame delle storie originali, ma non riescono neppure a rendere appieno l'atmosfera tipica dello scrittore di Providence, i suoi incubi e le sue allucinazioni che non sono solo esplicite, quanto simboliche e indirette. Assai meglio i film ispirati alla visione del mondo lovecraftiana, ai suoi personaggi tipici, al senso della realtà assediata dall'ignoto incubi, come in alcune pellicole dei nostri Lucio Fulci e Dario Argento, ma anche di Quentin Tarantino. Forse il miglior film del genere è «Il seme della follia» di John Carpenter (1994), non per nulla un signor regista.