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Bandiere bianche nel '900

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,206 pagine, 10 euro) riassume in una formula biblica quattro vicende della storia del Novecento accomunate, come osserva Ludovico Incisa di Camerana nell'Introduzione, da un elemento essenziale: la sconfitta. Sconfitte molto diverse, perché la fine della Fiume dannunziana ha poco a che spartire con quella del Terzo Reich, così come il crollo del Giappone con l'implosione della RDT nel 1991. E tuttavia sconfitte legate da un elemento essenziale: il fallimento di quattro tentativi anomali di modernizzazione. Questi casi avrebbero potuto essere affiancati da altri, a cominciare proprio dal caso italiano, ma bastano per delineare un «modello di caduta» di realtà storiche intimamente fragili, guidate da ideologie e gruppi dirigenti inadeguati. La vicenda di Fiume è tutta compresa nella contraddizione tra la modernità del nazionalismo aggressivo e della politica-spettacolo dannunziana e la base territoriale angusta, quasi una città-stato, dell'impresa, collocata in una zona di confine pericolosa e nell'occhio della politica internazionale. Di qui il fascino che suscitò in larga parte dell'opinione pubblica, ma anche la debolezza che emerse sulla lunga distanza, che condannò la città, dopo la sconfitta, prima a un'annessione senza gloria e poi a trasformarsi in vittima sacrificale della catastrofe del 1945. Tutt'altro scenario nel caso del Giappone, dove tra l'altro la sconfitta, come ci ha spiegato la letteratura specializzata, assume contorni quasi superiori alla stessa vittoria, nella pubblica sensibilità, soprattutto se avvenuta secondo i canoni dell'onore e contro un nemico preponderante. Così il paese sprofonda nelle fiamme dell'atomica, mentre a Okinawa gli ultimi difensori si suicidano in massa. Solo la sensibilità politica di Mac Arthur risparmierà l'imperatore, salvando la continuità dello Stato, e limitando i processi ai casi più clamorosi. Ben diverso è invece il banco al quale vengono chiamati i capi nazisti a Norimberga, dove emerge, con poche eccezioni, la mediocrità dei gerarchi, ma anche la grande confusione della macchina del Reich e quindi anche del progetto strategico complessivo. Anche per quanto riguarda il famoso processo, tanto enfatizzato nel mito successivo, un'analisi puntuale mette in evidenza le tante falle del meccanismo giudiziario e l'imprecisione degli stessi accusatori (americani e sovietici), tra i quali si salvano i membri della delegazione britannica, i soli con alle spalle una vera preparazione giuridica. Al capitolo sulla caduta del Reich segue quello sulla dissoluzione della RDT, perché, curiosamente, è proprio nella Germania dell'Est, entrata ormai nell'orbita sovietica, che si possono ritrovare i maggiori elementi di continuità con il totalitarismo nazista. Anche in quella parte della Germania, dove pure esistevano tutti i presupposti per una modernizzazione, il modello marxista conosce l'ennesimo fallimento, la cui prima prova va cercata proprio nell'implosione che accompagna la sua fine. Quando, dopo il '91, si cominciarono a trarre i primi bilanci, si poté verificare l'assoluta arretratezza delle strutture produttive e amministrative, ma anche il processo degenarativo dello stesso «materiale umano» che aveva sostenuto quell'impresa. Il libro di Serra non è quindi solo un'analisi di quattro, cruciali, sconfitte della storia del 900, ma è anche una diagnosi sul fallimento di processi di modernizzazione che hanno tentato strade alternative a quelle occidentali: una lezione, a ben vedere, ancora attuale.

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