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Vittime piene di dignità

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UN'ECO lontana del «Pianista». Per ricordare i milioni di intellettuali ebrei immolati dalla barbarie nazista nei campi di sterminio. In cifre, però, solo domestiche e con accenti vicini volutamente al teatro. Una coppia di tedeschi. Arthur, il marito, è comandante in un Lager e ama la musica, Franziska, la moglie, ignora quello che lì accade e ama la pittura. A servirli è destinato un deportato ebreo, Miklós, che ama la poesia. Sarà lui ad assecondare Franziska facendole fare il ritratto da sette pittori scelti fra i deportati e a organizzare per Arthur, con lo stesso sistema, una piccola orchestra. Ma gli eventi precipitano, la coppia parte e i deportati, dopo quella pausa, saranno avviati ai forni crematori. Il racconto lo ha scritto un autore di teatro, Massimo Piesco, che poi ha collaborato per la regia con un autore di cinema, Giorgio Molteni. Tre caratteri bene incisi: Arthur, prima coinvolto nella follia hitleriana poi vicino a separarsene, Franziska, pur comprendendo un po', solo frivolezze mondane, e in mezzo «il servo ungherese», intellettuale umiliato ma deciso a non farsi privare né delle proprie idee, né della propria dignità. In una cornice in cui, appunto, è il teatro a prevalere, non solo per le situazioni quasi sempre al chiuso e per i tanti dialoghi (specie — pur molto insistiti — sulle arti), ma per una rappresentazione che, nelle scenografie e nei colori distanti dal realismo, tende a richiamarsi al palcoscenico. Con una recitazione che, anche rispettando la verità, vi si adegua: soprattutto in Andrea Renzi, un Miklós tutto contenuto dolore. Arthur è un incisivo Tomas Arana, Franziska è Chiara Conti, con i giusti segni anni Quaranta. G. L. R.

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