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di ALDO COSTA CANNES — «Non avrei mai pensato di dover rimpiangere Nixon».

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Ma dall'attore, premio Oscar con «Mystic River» di Clint Eastwood che non ha mai nascosto le sue simpatie per il partito democratico ed è famoso per le sue esternazioni contro i repubblicani, arriva più tardi anche una aggiunta più cauta a quanto già detto: «C'è una parte del mio paese che ha fatto delle cose magnifiche e un'altra parte che è andata ad ammazzare i bambini a Baghdad». Ma in una giornata dalla deriva politica con la presenza in concorso dello scandaloso documentario «Fahrenheit 9/11» non poteva mancare anche una domanda a Sean Penn su questo ultimo documentario di Michael Moore: «Non l'ho ancora visto - dice l'attore - ma rispetto molto il suo lavoro e sono sicuro che è fedele a quanto sta accadendo oggi negli Stati Uniti». Nel film, prodotto da nomi importanti come Alfonso Cuaron, Jorge Vergara e Leonardo di Caprio, Sean Penn, divorziato dalla moglie Marie (Annie Watts) e con alle spalle tutta una serie di fallimenti lavorativi, trova come suo unico nemico, siamo nel 1974, il presidente degli Stati Uniti in persona. Quel Nixon alle prese con lo scandalo Watergate che lo porterà a dimettersi e con la tragedia della guerra del Vietnam. Così, pur di uccidere Nixon (una cosa divenuta per lui una vera ossessione) cerca di nascondere un'arma in una finta protesi e di prendere un aero a Baltimora. Ma anche questa impresa di Samuel Bicke, nonostante i maniaci preparativi, non andrà in porto e fallirà miseramente con la sua stessa morte. «All'inizio - spiega il regista - volevamo fare un film di pura fiction dal titolo "L'assassino di LBJ" che raccontava la storia di un uomo ignorato dalla società che aveva intenzione di assassinare il presidente Lyndon B. Johnson. Ma facendo delle ricerche abbiamo scoperto che c'era un fatto vero, ma con un altro presidente e così abbiamo spostato la storia dal 1964 al 1974». Infine dall'attore un appello a non ispirarsi a Sam Bicke: «Non credo che si possano cambiare le cose con la frustrazione che sente il mio personaggio e con la sua violenza, bisogna piuttosto dare voce alla parola». Tornando a Moore va segnalato che solo un breve applauso ha accolto, al termine delle due proiezioni stampa, il suo film-denuncia. Prima della visione, una lunga attesa e anche qualche momento di tensione all'ingresso per trovare posto in sala, poi verso la fine del film-documentario di due ore, qualcuno ha anche lasciato il cinema. Il film sottolinea la collusione d'interessi finanziari tra il presidente americano Bush, la famiglia Bin Laden e i principi sauditi. Poi segue la guerra in Iraq, voluta dall'entourage di Bush per sfruttare i ricchi appalti della ricostruzione, arrivando fino all'episodio dei soldati americani uccisi e linciati dalla folla irachena.

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