di FRANCO CARDINI SECONDO una notizia di questi giorni, le autorità religiose spagnole si starebbero ...
Sulla veridicità del racconto leggendario e la verosimiglianza dell'autenticità delle reliquie di san Giacomo, il discorso è aperto da molto tempo: è tuttavia indubbio che la tradizione del pellegrinaggio lungo il Camino de Santiago - la celebre «Via Lattea» - è una delle più forti e delle più significative del mondo cristiano. Il pellegrinaggio compostelano può essere considerato uno dei veri e propri assi culturali lungo i quali si è andata costituendo nei secoli la coscienza identitaria europea. Ciò lo rende di particolare significato in quest'anno di allargamento sostanziale dei paesi aderenti all'Unione Europea, che è del resto anche «Anno Santo Compostelano». Proprio per questo la rimozione di una delle effigi più note del santo acquista significato del tutto particolare. La statua raffigura «Santiago» (cioè san Giacomo) nel suo tardizionale abito da pellegrino, ornato delle conchiglie simbolo del suo santuario, ma a cavallo mentre schiaccia sotto gli zoccoli del suo destriero un intero esercito di musulmani. La rappresentazione allude alla battaglia del Clavijo, nell'840, allorché si narra che il santo apparve appunto in tale forma alla guida delle truppe cristiane in lotta contro i musulmani che da quasi un secolo e mezzo occupavano gran parte della Spagna. Da tale data si fa tradizionalmente prendere avvìo la Reconquista cristiana del suolo iberico, conclusa nel 1492 con la presa di Granada. Il termine «Matamoros» significa appunto «Ammazzasaraceni». Una ruvida devozione guerriera, dunque. Che già da tempo aveva provocato malumori e proteste nella comunità musulmana spagnola. La rimozione è pertanto da considerarsi un gesto di buona volontà da parte della Chiesa spagnola per sostenere il dialogo fra religioni: tanto più generoso e significativo all'indomani del tragico attentato madrileno dell'11 marzo. Niente da dire sulle intenzioni. Tuttavia personalmente ritengo che scelte del genere siano profondamente errate e che nuocciano al dialogo fra le comunità anziché renderlo più facile. A Gerusalemme, all'interno del santuario della «Cupola della Roccia», un'iscrizione in mosaico dorato celebra la vittoria contro i «politeisti». Si allude al fatto che nel 1187 il Saladino cacciò i crociati dalla Città Santa; e si definiscono «politeisti» i cristiani, con allusione al loro culto della Trinità come politeismo interpretato dal mondo islamico. Personalmente, non ho mai trovato disagio nel visitare quel sacro luogo dell'Islam e a pregarvi con la discrezione dovuta: così come mi è capitato di fare in molte sinagoghe: si tratta sempre di luoghi nei quali è adorato quel Dio d'Abramo che è anche il mio. Se qualche cristiano chiedesse nel nome del dialogo la cancellazione di quel mosaico, mi opporrei: esso rappresenta un aspetto dell'identità musulmana, che l'Islam ha diritto di difendere e che i non-musulmani debbono rispettare. Non ci si deve vergognare della propria storia, non si debbono rinnegare le proprie tradizioni: se lo facciamo, il dialogo con gli altri non diventa più facile. Anzi, diventa impossibile, in quanto perdiamo la forza di quell'identità che appunto ci consente di sentirci diversi, dunque di discutere e di confrontarsi. Quando con i musulmani diamo spettacolo di debolezza e di scarsa dignità nel tutelare quel che siamo, perdiamo ai loro occhi dignità e credibilità: e vediamo ridotte le possibilità di dialogo, perché nessuno ha interesse a dialogare con chi disprezza. Mi auguro pertanto che la notizia giunta dalla Spagna non sia vera, o che i responsabili ci ripensino. E che ai musulmani i quali come prezzo del dialogo con noi pretendono la nostra resa culturale, si risponda c