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Il golpe visto dai bambini

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IL GOLPE militare in Argentina che portò al potere il generale Videla visto attraverso gli occhi di un bambino. Senza che ci si scontri con un solo aggressore, senza che si lascino spazi ai torturatori, come invece nel bellissimo «Garage Olimpo» del nostro Bechis. Una formula quasi opposta, all'insegna soltanto delle allusioni. L'ha adottata, con serio impegno, un regista argentino molto apprezzato in patria, Marcelo Pineyro. Al centro del suo dramma, una famiglia: padre, madre, due bambini. Vivevano a Buenos Aires, lui esercitava la professione di avvocato, ma ecco che gli arrestano un collega che lavorava nel suo stesso studio. Da qui una lunga fuga, sotto falso nome, che a un certo momento sembra concludersi in una remota casa di campagna da cui i bambini potranno uscire per ricominciare ad andare a scuola in un paesino vicino. Ma il pericolo non tarda ad annunciarsi anche lì, così papà e mamma non troveranno altra soluzione che affidare i bambini ai nonni e scomparire: probabilmente per sempre... Tutto, appunto, osservato dal bambino più grandicello e fatto arrivare a noi solo con la mediazione dei suoi commenti spesso volutamente imprecisi nei confronti di una realtà di cui non può afferrare sempre i contorni. Ci sono ansie, ci sono anche paure, sia durante la fuga, sia dopo, ma le attenua, le ovatta — pur non sminunendone mai l'intensità — l'ottica di quel piccolo protagonista che, qua e là, qualche evento rischia persino di scambiarlo con un gioco (come quello che dà il titolo al film). Forse delle stasi rallentano un po' la struttura narrativa, con quadretti di vita familiare troppo semplificati, ma la regia riesce comunque a non attenuarvi in mezzo le tensioni. Che via via si trasformano in angoscia. Con echi e vibrazioni tanto più laceranti in quanto, appunto, è un bambino a riferirceli. Gli dà volto il piccolo Matias del Pozo, un visetto che non si dimentica.

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