Declino di un travet smemorato
«I sogni di Eistein», potrebbe rispecchiare fatti e percezioni già conosciute sugli schermi cinematografici — con eroi smarriti come Dustin Hoffman in una famosa pellicola — e invece questo secondo romanzo, «La diagnosi», si presenta con caratteri ancora più azzardati e determinati nei confronti del precedente, tutto concentrato com'è sul tentativo drammatico, e marcatamente doloroso, di capire le ragioni di fondo di una tragica caduta della memoria, di una sopraggiunta impotenza nell'intendere e nel volere, sotto il colpo letale della perdita mentale, lui, proprio lui, il milleriano Bill Chalmers, che nel viaggio mediatico sul display è un provetto navigatore, sa muoversi come pochi nel fronteggiare tempeste, virus e quant'altro appartiene alle ossessioni del nostro tempo. Questo esemplare prodotto dall'America di oggi (ma ormai anche del nostro Occidente, per non parlare di Cina e Giappone), si è alzato come tutte le mattine, non ha tralasciato nessuno dei consueti rituali del buon Travet quotidiano, tutti simili da tempo più che remoto. Si accinge a salire sull'affollata metropolitana di Boston che lo scaricherà alla Plymouth, lui quarantenne sposato con Melissa, il figlio Alex che pende dalle sue labbra. Sul suo futuro non ha dubbi né tentennamenti: sarà brillante e sicuro, circondato dalla stima e dalla deferenza un po' interessata di chi lo circonda, di attenzioni e di premure. All'improvviso una tragica amnesia: non sa dove scendere, quale tratto di strada percorrere per raggiungere il luogo, la stanza dove lavora: «Fu tra le stazioni di Harvard e Central che Chalmers dimenticò dove era diretto. Questa percezione non arrivò all'improvviso, bensì sembrò indursi lentamente nella sua coscienza, come una bolla d'aria intrappolata che sale dal fondo di uno stagno. All'inizio restò calmo. Stava probabilmente soffrendo di un vuoto di memoria momentaneo, come era successo alla scorsa festa di fine anno quando si era dimenticato il nome di Morla». Il rischio di una totale dissociazione psichica esiste e si prospetta come un fantasma, anche nel caso in cui la memoria faccia marcia indietro. L'apatia, l'assenza di sensibilità sono i fantasmi che più di frequente si agitano attorno all'uomo, impotente a combatterli, mentre la solita équipe di medici fa congetture di ogni tipo, come sempre accade. Anzi, questo strano universo scientifico assume il sapore di una tragica commedia al capezzale di Bill: ognuno dice la sua e conferma il clamoroso paradosso fra la puntigliosa capillarità dell'universo informatico, e dall'altra parte l'impotenza presso che totale, al cospetto di una ricerca che ne sa poco o nulla nei confronti del mistero del corpo umano, e spende ancor meno per aggiornare studi e indagini. In questo senso Lightman difende impavidamente il lungo serpentone delle vittime e punta il dito su chi si distingue per assenza o insipienza. Il mondo che circonda Bill è perversamente coalizzato contro di lui, non sa più che farsene di un uomo inefficiente, la Plymouth lo scarica, figuriamoci, non riesce a controllare più i propri movimenti, figuarsi quelli delle macchine che ha di fronte. La resa totale è vicina, l'alcolismo della moglie fa da contrappunto al proprio declino fisico e morale, che gli impedisce perfino il riposo di un letto dove stendersi: preda ormai di un devastante stravolgimento mentale, si conforta ad ascoltare i rumori del silenzio, ultimi sussulti di una vita che si allontana velocemente. Ma Lightman non si ferma qui, non si limita a raccontare il declino di Chalmers, inventa una storia parallela di tempi molto lontani, quella di Socrate, finita anch'essa drammaticamente. Lightman ricostruisce a suo modo un dialogo platonico, risuscita l'antico ambiente del filosofo della cicuta, tanto vero e simile che sembra il puzzle del New England. Lightman capovolge la vicenda, si schiera con gli accusatori, con Anito per intenderci, punta di diamante del