La sindrome di Goethe
Si conobbero nel 1787 a Roma, in casa di un collezionista, dove il poeta tedesco rimase a lungo in estasi di fronte a una piccola e grossolana copia del celebre affresco; e il turbamento provato davanti a quella rappresentazione dell'Ultima Cena s'impresse nel suo cuore. Tanto che quando, un anno dopo, gli si presentò l'occasione di andare a Milano, si precipitò al Convento di Santa Maria delle Grazie ad ammirare dal vivo, nel suo refettorio, il miracolo di Leonardo. Entusiasta, scrisse al suo sovrano e amico, il granduca di Sassonia: «Il Cenacolo di Leonardo da Vinci è unico nel suo genere, non vi è nulla con il quale possa essere paragonato». Poi fece ritorno a Weimar e per trent'anni serbò per sé il ricordo di quell'incontro. Fino all'estate del 1817, quando un'insperata circostanza lo riavvicinò al capolavoro di Milano. Era accaduto che dopo la proclamazione del Regno d'Italia da parte di Napoleone, il viceré Eugenio Beauharnais avesse ordinato a Giuseppe Bossi, segretario dell'Accademia di Brera, di eseguire una copia del Cenacolo in dimensioni reali, affinché il capolavoro - allora in pessimo stato di conservazione - potesse essere ammirato dai posteri. Bossi, un artista molto scrupoloso, studiò a lungo gli scritti di Leonardo e le altre copie dell'affresco; e frutto di tanto lavoro furono una monumentale opera in quattro volumi e una montagna di lucidi preparatori, che il granduca di Sassonia, ricordando l'entusiasmo di Goethe, volle acquistare. Prima ancora che il prezioso materiale arrivasse a Weimar, Goethe decise di scrivere un saggio sull'affresco partendo dagli studi di Bossi. Quel libro non solo rappresentò la prima interpretazione romantica dell'opera - giudicata dallo scrittore «pura espressione del genio universale» - ma anche il primo tentativo di far penetrare in terre nordiche la conoscenza di una pietra miliare dell'arte pittorica. Stranamente Goethe, che curò personalmente le traduzioni in inglese e in francese del volume, non pensò mai a una traduzione nella lingua di Leonardo. Ora finalmente, grazie all'intelligente iniziativa della piccola casa editrice Abscondita, è possibile leggere il delizioso saggio, «Il Cenacolo di Leonardo» (72 pagine, 11 euro), anche in italiano. Goethe apre il libro con una riflessione sulla genialità di Leonardo, che per il refettorio di un convento pensò di dipingere quella sacra cena di addio. Di più, sulla tavola intorno a cui sono seduti Cristo e gli apostoli spiccano gli stessi piatti, bicchieri, scodelle e perfino una tovaglia usati nel Cinquecento dai Domenicani di Santa Maria delle Grazie: durante i loro frugali pasti, alzando lo sguardo verso i tredici personaggi dell'affresco, i monaci dovevano avere la sensazione che Gesù fosse a cena in mezzo a loro. E siccome tutto doveva essere copiato dalla realtà, Leonardo impiegò ben sedici anni per raccogliere tanti minuziosi particolari e rielaborarli in un complesso unitario. Solo due figure rimasero incompiute, quelle di Cristo e di Giuda: anche per un pennello come il suo era impossibile rappresentare il figlio di Dio e il suo traditore, personaggi che non si possono vedere con gli occhi ma solo sentire col cuore.