Il vizio all'ultimo stadio
UNA storia vera. Di un ragazzaccio, Michael Alig, che negli anni Novanta riuscì a diventare l'organizzatore più noto di orge e festini nelle discoteche peggio frequentate di New York, con un seguito di accoliti composto quasi esclusivamente di omosessuali, drogati, transessuali, travestiti, essendo egli stesso bisessuale. Con un amico fidato, James St. James, di cui però non si fidava, e con uno spacciatore sempre al suo fianco che alla fine uccideva. Finendo in carcere. Due documentaristi interessati soprattutto alla «pop culture», Fenton Bailey e Randy Barbato, gli avevano a suo tempo dedicato un piccolo film. Ora, dopo aver chiesto al suo sodale James St. James di scrivere un romanzo sulla sua avventura, si sono serviti di quello per il film di oggi, con cui esordiscono nel lungometraggio. I temi sono gli stessi e così i personaggi che li sperimentano sulla propria pelle. In un carnevale popolato da una fauna spesso ributtante che si dedica a tutti gli estremi, sia nel campo del sesso sia in quello della droga, esibendo un vero e proprio campionario di mostri (il titolo è adeguato) in cui, nonostante una piccola resipiscenza finale, non ci sono mai ripensamenti né problemi morali da risolvere. In cifre in cui il cinema, senza equilibrio né ordine, si limita a squadernare eccessi e furie con immagini e musiche sempre, a loro volta, eccessive. All'insegna di una eccentricità che rinnega ad ogni momento il buon gusto. Il protagonista è Macaulay Culkin che, nonostante il suo volto da bambino che ha ancora perso l'aereo, truccato e mascherato, riesce a proporsi come il ritratto del vizio. All'ultimo stadio. G. L. R.