di SERGIO DI CORI LOS ANGELES — Un cinema, il suo, al di là delle mode e dei tempi, contrassegnato ...
Anche nella sua ultima prova, appena uscita in Usa, con il titolo «Spartan», il regista americano David Mamet non rinuncia agli ingredienti che lo hanno reso celebre. L'aspetto curioso consiste nel fatto che, questa volta, la parte del protagonista, invece di essere affidata, come di consueto, a Joe Mantegna o Steve Martin (i due attori preferiti dal regista) è stata attribuita a Val Kilmer, celebre grazie ai film d'azione. Abbiamo incontrato Mamet a Los Angeles dove ci ha raccontato il perché della sua scelta. Come mai Val Kilmer? «Il ragazzo, anzi, ormai più che un uomo fatto visto che praticamente va per i quaranta, è anche un ottimo attore. Dico "anche" perché questo è il prezzo da pagare per quei bravi professionisti che si sono conquistati un proprio posto tra i ricchi e famosi indossando la maschera che produttori, distributori, pubblicità e pubblico grossolano volevano, ma se poi "osano" voler fare anche gli attori, allora tutti gli saltano addosso». Il fatto è che i suoi film sono molto particolari e lei stesso, recentemente aveva dichiarato di rivendicare un ruolo intellettuale. «Sì è vero, l'ho detto, non posso negarlo. Non mi sembra però una idea azzeccata. Diciamo che ci ho ripensato». Questo vuol dire che lei si adatta alle esigenze del mercato come la maggioranza dei suoi colleghi? «Adesso non esageriamo. Anzi, sa che cosa le dico? Ho cambiato di nuovo idea, mi riprendo quella di prima aggiornata. Sì è vero, rivendico al cinema un ruolo intellettuale che la pedinatura ossessiva dell'audience ha penalizzato. Fellini non ha mai incassato un dollaro con i suoi film e se è per questo neppure Truffaut, però loro sono giustamente finiti nel Pantheon». Erano altri tempi, il mercato mondiale era diverso, l'Industria del cinema era diversa... «È tutta colpa dei consulenti. Qui in America, almeno è così. Una vera buffonata. Non si capisce che gusto ci provino ad andare al potere se poi devon delegare tutto a dei consulenti. Io, se fossi il capo dello Stato farei tutto per conto mio. Anche il cinema è pieno di consulenti, ne è stata la rovina. è per questo che ho voluto Val Kilmer. Che cosa c'entra Val Kilmer con i consulenti? «Perché il produttore mi aveva presentato tre consulenti, mica uno, dico ben tre - pagati da lui si intende - i quali cercavano di convincermi che Val Kilmer non poteva essere adatto in un mio film a recitare il ruolo di un detective pieno di problematiche esistenziali. E io invece mi sono impuntato. E sono contento della resa. Del resto, prima di fare "La dolce vita" Marcello Mastroianni non era forse un attorucolo che recitava commediole da poco? Nessuno avrebbe scommesso una lira - prima che Fellini lo scegliesse - pensando che sarebbe stato in grado di fare la parte di uno scrittore in crisi. Era il bel playboy del cinema italiano, tutto qui. Val Kilmer se va avanti così può diventare un grande attore». Pensa che il cinema abbia un futuro? «Certamente, ci mancherebbe. Ha perso il presente, ma ha un futuro molto roseo davanti a sè. Sta in crisi come andò in crisi la pittura a metà dell'800 quando inventarono la macchina fotografica, ma poi gli impressionisti fregarono tutti perché inventarono qualcosa che non poteva essere reso in fotografia. Al cinema, cioè ai cineasti, manca semplicemente un po' di coraggio: inventare un nuovo linguaggio che si attagli ai tempi. Ritornare alla semplicità di storie narrate. Regredire diventa un dovere. Il che fa bene anche alla salute perché fa sentire più giovani».