Jeff Buckley alle radici del suo mito
Eppure presso di lei si sente che niente è simulato. Conoscere Edith Piaf a 16 anni, come è accaduto a me, è uno choc. Quando due anni fa ho suonato per la prima volta all'Olympia, dove avevano trionfato Hendrix e Velvet Underground, dove lei era incontrastata regina, è stato per me un onore terribile e spaventoso. Ma come passare dopo la Piaf? E ancora adesso non riesco a rendermi conto del successo della mia musica in Francia. Forse perché è un popolo che adora le storie che stanno "dietro". E io ho un intero romanzo da raccontare. E poi amano la poesia e il lirismo di una certa idea di America». A parlare così fu Jeff Buckley, cantautore americano figlio di Tim, accomunato al padre da una fine tragica. Il genitore morì per un'overdose di eroina, lui scomparve una sera di maggio del 1997 nel Mississippi, forse suicida. Jeff è il tipico esempio di cantautore la cui vita professionale si lega indissolubilmente a uno dei luoghi in cui ha regalato al pubblico la sua arte. Nel 2001 è stato pubblicato, postumo, un cd dal vivo inciso, appunto, nel 1995 all'Olympia. Nella cui track list spicca «Je n'en connais pas la fin», canzone che porta la firma del suo idolo Edith Piaf.