di ANTONIO SPINOSA UN LIBRO nuovo, anche nella sua struttura, questo di Raffaello Uboldi ...
I giorni dell'odio e della libertà». Infatti quei terribili giorni scorrono via via, testimoni come sono di tragici avvenimenti. Nel rincorrersi delle date il libro si apre con il 12 aprile e si chiude con l'11 maggio successivo. Un lavoraccio da certosino che non avrei mai sospettato in Uboldi. Ma perché si punta sul 25 aprile? Si può dire perché in quel giorno il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ordina l'insurrezione generale, perché le truppe alleate invadono la pianura Padana e perché le formazioni partigiane lasciano le montagne per liberare le città dell'Italia settentrionale. Non soltanto questo. Il 25 aprile Milano era un subbuglio con le prime avvisaglie di rivolta antifascista. Mussolini era paralizzato, e non vede che una via d'uscita in un colloquio con l'arcivescovo Schuster e perfino con i capi della resistenza. Ormai pensava soltanto alla sua salvezza personale. Con Schuster l'ex duce aveva ancora il coraggio di baloccarsi nel paragonare la sua repubblica ai cento giorni di Napoleone. Disse al prelato che si sarebbe ritirato in Valtellina con qualche migliaia di camicie nere. In attesa che arrivino i rappresentanti del Clnai — Raffaele Cadorna, Riccardo Lombardi, Achille Marazza, Giustino Arpesani — il cardinale offre a Mussolini un bicchierino di rosolio e un biscotto. Una scena patetica in tanta tragedia, anche se Mussolini, pur sapendo di aver perso, non immaginava l'ultima scena di Piazzale Loreto. Ma gli sguardi colmi d'odio che s'incrociavano in quella stanza non promettevano nulla di buono, in quanto i rappresentanti dei partigiani reclamavano un'immediata resa incondizionata. Comunque tutto inutile, perché Mussolini lasciava la riunione promettendo di tornare. Ma non lo fece. E ormai era chiaro che egli non si sarebbe più arreso al Clnai come sembrava che volesse fare. Alle ore 20 Mussolini saliva sulla sua Alfa Romeo con un mitra a tracolla, rispondeva al saluto del figlio Vittorio, e invitava con un gesto Bombacci — come ricorda con precisione Uboldi — a sedersi accanto a lui, forse commosso per averlo sentito dire: «Dove va lui, vado io». Partiva anche Claretta sull'auto del fratello Marcello esclamando: «Dove va il padrone va il cane». Uboldi non sempre racconta tutto questo con distacco. Nel caso dell'esecuzione degli attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida ha parole di partecipazione. Scrive: «Vogliono morta anche la Ferida, che un qualsiasi tribunale manderebbe assolta, per di più è incinta, attende un bambino, non c'è luogo al mondo dove la condanna non verrebbe sospesa. Non nella Milano di questo aprile 1945. E così Luisa muore, uccisa senza appello, senza prove, senza un processo, senza giustizia». Si potrebbe soltanto osservare, caro Uboldi, pur senza giustificare: ma non era quello il terribile 25 aprile?