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La signorina snob torna in scena con Goldoni. «Il teatro? L'ultimo rifugio»

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Al cinema moglie spietata In Tv la sora Cecioni

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Quella voce inconfondibile che una mattina di tanti anni fa mi telefonò da un albergo parigino: «Sono Franca Valeri, àle porto i saluti di Ennio. Ennio Flajano». A quel tempo Franca era una ragazzina, giovane come tutti noi, e debuttava nella capitale francese con la «Compagnia dei Gobbi». Fu un successo clamoroso, che aprì la strada ad altri attori italiani. Insieme a Franca, nello spettacolo satirico d'uno stile assolutamente nuovo, c'erano Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci. Come spesso succede ai compagni di scuola che rievocano le bricconate degli anni verdi, Franca ed io ci divertiamo a contare i «mostri sacri» che ora non ci sono più, e con i quali avevamo chiacchierato al Café «Deux Magots» di Boulevard Saint Germain: Sartre, Simone de Beauvoir, Louis Jouvet, Boris Vian, Charles Trenet, Edith Piaf. «Ricordi quella sera che ci hai portato alla Rose Rouge per vedere Juliette Greco?» dice Franca: «Aveva una così bella voce, e un naso degno di Cyrano di Bergerac». «Eravamo poveri, i soldi contati, ma Parigi era nostra. Ce la siamo goduta a piedi, dal Louvre alla tomba di Napoleone... Mi viene in mente Caprioli, fermato da una signora che gli chiedeva se fosse spagnolo. E lui rispose: "Pas encore, madame. Ma ho fatto domanda"». Franca sta in un comodo albergo di Pontevecchio, è in tournée con la compagnia, e ora mi apre la porta della sua suite insieme ad Aroldo, detto Rorò. Rorò è un King Charles, cane britannico un poco snob, che non sopporta i giornalisti, e pertanto mi abbaia. Fasciata in un bell'abito rosso rubino, Franca è minuta e magra come il giorno che l'ho conosciuta a Parigi. Porta dei guanti bianchi, lunghi, e siccome Rorò continua a mugolare, lei lo invita con un gesto imperioso a mettersi a cuccia, in un angolo. «So che presto debutterai all'Eliseo con una commedia di Goldoni, "Il giocatore". È un'opera interessante, ma si recita poco. L'hai scelta tu?» «No, è stato Patroni Griffi. Da tempo la voleva portare sulla scena. Dice che il personaggio di Gandolfa mi sta a pennello, e io piano piano mi calo nei suoi panni». «Franca, in questi giorni difficili, carichi di insidie e di ferocia disumana, gli attori sono l'ultima medicina che ci difende dalla nevrosi». «Così è, mi pare: il teatro come un'isola, un estremo rifugio. Sia gli spettatori che gli attori ci si nascondono. È un passaporto per una tregua, sia pure effimera». «Il destino fa e disfa le amicizie» azzardo «E tutt'a un tratto ci ritroviamo soli. La nostra agenda telefonica sembra il Viale degli Alberi Pizzuti: tante croci, tanti numeri fuori uso. Certi giorni penso a Vittorio Caprioli, e mi manca: era un uomo buono e un grandissimo attore». «Anche a me manca molto» dice Franca, che gli fu compagna: «Vittorio era geniale. Il suo umorismo non era mai greve, sembrava arrivato fresco d'oltre Manica». «A me capita di essere accusata di humour», scherza Franca. «E a Bonucci, talvolta, ci pensi? E' morto così giovane. Ricordo che una sera, in pizzeria, mi confessò una cosa che ancora oggi mi riempie di tenerezza. Disse che sua moglie era fotografata dai paparazzi, perché la scambiavano per Soraya. Era talmente fiero di questo. Molto più di quanto non lo fosse, giustamente, sua moglie» «Caro Bonucci, sua moglie somigliava davvero a Soraya. Ma non capivo perché se ne gloriasse tanto». «Franca, l'ultima e poi ti lascio al tuo copione. Ti rendi conto che sei a due passi dalla villa del Manzoni, dove l'Adda esce dal ramo orientale del lago di Como? Da questa finestra si vede il Resegone, qui passarono Renzo e Lucia, i Promessi Sposi che ci hanno tanto afflitto a scuola». «Lo so» scuote il capo Franca: «Ci dovevo venire con la classe del mio liceo, ma si ammalò la professoressa d'italiano. Da allora è passato quasi mezzo secolo. Come vedi, si riesce a fare tutto, basta aspettare».

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