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di ALESSANDRO GIANNOTTI TEMPI duri per il kimono.

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Vuoi per i lunghi tempo di vestizione che oltretutto richiede l'aiuto di una seconda persona, vuoi per la sua scomodità, vuoi per un occidentalizzazione dell'abbigliamento. Però da noi questo abito affascina ancora molti creatori di moda. Ecco allora Antonio Marras che nelle vesti di direttore creativo di Kenzo ha fatto sfilare lo scorso marzo a Parigi giacchine allacciate di lato con le maniche larghe che si ispirano, appunto, al kimono, e poi John Richmond con le camicie-kimono per lui, Luciano Soprani con le bluse. E se a Monte Carlo il prossimo 16 aprile Daniele de Winter farà salire in passerella kimono disegnati dalla stilista Fumiko Nozaki - tra gli indossatori il conte italiano Filippo Verani Masin di Castelnuovo - a Torino è stata un successo la mostra «Cosa c'è dietro il kimono». Ed è stato un successo. Tantissimi, infatti, coloro che hanno voluto ammirare esemplari risalenti alla fine del XIX secolo, altri realizzati nel '900, altri ancora esempio della produzione attuale della città di Tokamachi che ne vanta una tradizione millenaria e dove, nel primo weekend di maggio le strade si illuminano di mille colori per la "Festa dei kimono". Il kimono - ovvero "cosa addosso" - esplode in Giappone nel periodo Heian (792-1192) subendo le influenze mongola e manchu. Attraversa i secoli senza subire grossi cambiamenti né nella forma né nei tessuti che rimangono seta e cotone, ma se fino al 1940 veniva indossato abitualmente (fudangi o kimono di tutti i giorni) col passare del tempo il suo uso si è limitato sempre più alle occasioni formali soprattutto quelle religiose o all'ormai quasi dimenticato rito della cerimonia del tè.

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