50 anni fa il boom con «Rock around the clock». Un film celebra la musica che cambiò il mondo
«School of Rock», opera leggera e frizzante che affronta il rock come metafora, più che un film musicale sembra essere un pretesto per ricordare gli anni eroici di questo genere di musica e anche il suo peso sociale. Tutto poggia sul camaleontismo di Jack Black, molto determinato come caratterista, in grado di saper dosare con coerenza ed efficacia i tempi comici. Black è già stato indicato come il nuovo John Belushi ma in realtà è vestito come Angus Young degli AC/DC e nel film è circondato da una schiera di piccoli attori di rara efficacia interpretativa. L'attore, ottimamente in rilievo in «Alta fedeltà» e «Amore a prima vista», convince nel suo straripante istrionismo nei panni di Dewey Finn, un chitarrista polemico e irriverente che nutre un odio viscerale contro il sistema e ha un'autentica venerazione per il rock. Appassionato di tuffi dal palcoscenico e assoli che durino almeno venti minuti, Dewey vuol vincere a tutti i costi un concorso locale con la sua band, da cui invece viene licenziato. Disperato e al verde, preoccuparto per i soldi dell'affitto e sommerso dal disordine del suo appartamento, Dewey risponde a una telefonata diretta al suo convivente e accetta al volo una supplenza in una prestigiosa scuola elementare. La preside, severissima e ligia ad ogni regola, controlla ogni sua mossa, anche perché lui non ha la minima idea di che cosa significhi insegnare. Riesce però a suscitare la fiducia dei suoi piccoli allievi e quando li sente suonare nell'orchestra della scuola, decide di trasformare quei giovani prodigi in un gruppo rock ad alta tensione, avviando un esperimento che cambierà per sempre le loro vite. Raccontata così potrebbe sembrare una sorta di «Tempo delle mele» con una colonna sonora più valida, in realtà l'abilità registica di Richard Linklater - che finalmente si scrolla di dosso tutte le pretenziosità autorali dei suoi precedenti lavori - è concentrata soprattutto nella costruzione dei caratteri. Certo, la colonna sonora, un irresistibile mix che parte dalla fine degli anni Sessanta per coprire tutto il decennio successivo, sferza ogni inquadratura, supporta ogni azione, definisce i ruoli. Si parte con Who e i Cream, per arrivare ai Led Zeppelin e ai Ramones, ma c'è spazio anche per momenti più commerciali, per esempio il glam-rock dei T.Rex, odiati dai più intransigenti rockettari dell'epoca. Un omaggio al rock, alla musica giovane per eccellenza, sia pure in chiave hollywoodiana, anche se le coincidenze non mancano. Scocca, infatti, proprio in questi giorni, il primo mezzo secolo del rock and roll, nato ufficialmente nell'aprile del 1954. Il 12 aprile di quell'anno Bill Haley registrò il mitico «Rock around the clock», un brano destinato vendere oltre trenta milioni di dischi e soprattutto a svolgere un ruolo seminale all'interno del settore. Il brano era già stato inciso da Ivory Joe Hunter, ma non se ne era accorto nessuno. Anche la versione di Haley non ebbe immediato successo. Ma allorchè la canzone venne inserita nel film «Il seme della violenza» andò subito al n.1. Haley e le sue Comets stesero una buona metà della storia del rock and roll da quelle dodici battute, scandite con le ore dell'orologio e poi ripetute in quel ritornello diventato ben presto l'inno di una generazione, costruendo il mito dell'esplosione giovanile, dell'indipendenza economica e tutto il resto. Anche il regista del film, Richard Brooks, contribuì a realizzare uno studio vigoroso e realistico della delinquenza giovanile rapportata agli ambienti popolari americani. Discutibile, infine, la valenza giovanile. Haley, rotondo e paffuto, aveva già trent'anni e non possedeva certo le caratteristiche del sex-symbol; Max Freedman, l'autore del testo, ne aveva addirittura 63 e come se non bastasse la versione italiana venne curata da Tata Giacobetti del Quartetto Cetra.