Salgari marinaio tradito dagli editori
E noi non abbiamo certo voglia di suscitare il gran disdegno di pignoli e puristi. E allora scriviamo Salgari: e ognuno poggi l'accento dove meglio gli pare. Quel che interessa a noi è il fascino di una scrittura che non è stata mai «premiata» dagli «addetti ai lavori», ma dai lettori sì, e non solo da quelli giovanissimi. Salgari, sia ben chiaro, non presumeva certo di scrivere per i posteri: diciamo pure che sapeva stare «al suo posto», che è quello dei bravi artigiani, non dei geniali artisti. Anche se ogni tanto ci vien fatto di pensare che un tipo che scrive 87 romanzi e 120 racconti, con un successo nazionalpopolare che va dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni, indubbiamente «geniale» lo è; e neppur gli mancava l'aura tenebrosa della sregolatezza, visto che la vita di Emilio non fu certo facile tra editori rapaci, traversie familiari e furori suicidi. Con tanto di funereo coronamento, il 25 aprile 1911: un «seppuku» rituale, da samurai. Si squarciò ventre e gola con un rasoio, dopo aver spezzato la penna, e regalato agli editori il più amaro degli addii: mi avete sfruttato, lasciandomi le briciole, adesso pensate ai miei funerali. La follia che si scatena nel più estremo dei «beaux gestes»? La possiamo anche mettere in questi termini: però... Ecco: quest'uomo aveva creato tante affascinanti avventure e aveva inventato personaggi con un carattere e uno «stile» (nei «Pirati della Malesia» ritroviamo la mitica coppia Sandokan-Yanez, e non è davvero un male se la immaginiamo con i panni mitico-televisivi di Kabir Bedi e Philippe Leroy). Quest'uomo aveva «illustrato» un mondo in sintonia con la sua immaginazione. Da scrittore serio, si era documentato: e se, limitandosi a qualche breve viaggio «reale» nella stagione della giovinezza, aveva navigato di biblioteca in biblioteca, di libro in libro, aveva comunque dimostrato di essere un buon lupo di mare. Di quelli che sanno manovrare la nave e conoscono la rotta. Paesaggi letterari che diventano veri. Come nessun altro aveva saputo immergersi in mondi esotici mai visti e come nessun altro aveva fatto visitare quei mondi misteriosi a migliaia e migliaia di sognatori, fossero studenti ginnasiali con la fantasia in fermento oppure opachi «travet», bisognosi di esser riscattati dalla banalità del quotidiano. Lui, Emilio Salgari, aveva offerto avventure. E allora, con questi universi di eroismo nella testa e nel cuore, con queste figure d'eccezione chiamate a imprese d'eccezione sotto le insegne del bene, come si fa a spengersi nello squallore, nella meschinità, nell'avvilimento? In fondo, c'è da pensare che Salgari abbia voluto un'avventura. Una sola gliene era concessa: atroce e definitiva. Non si lasciò sfuggire l'occasione.