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Ustinov il trasformista

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Però aveva quasi sempre delle espressioni furbe, con una mimica che riusciva a dar spazio, con abilità, anche alla malizia. Era intelligente, esperto di cinema e di teatro, pronto a servire entrambi con estro sicuro e con professionalità meditata. Sia che vi si imponesse come autore, sia che si limitasse alla recitazione. Non considerando mai, quest'ultima, un'arte di ripiego perché, anzi riusciva ad esibirvi ogni volta delle doti cariche di colori e di vitalità. Spesso con umorismo, sempre nei limiti, però, da buon inglese, della misura e del garbo, fuggendo come la peste la caricatura e la farsa. Il cinema fu la sua prima tappa, ancora durante la guerra e subito con registi, allora, di grandissimo prestigio: Carol Reed, ad esempio, per il quale recitò nel '44 nella «Via della gloria», il celebre duo Michael Powell-Emeric Pressburger con cui collaborò, distinguendosi, in «Volo senza ritorno» (nel '41, appena ventenne). Seconda tappa, subito dopo la guerra, il teatro, non solo quella piacevolissima commedia che era «L'amore dei quattro colonnelli», ma, qualche anno dopo, nel '56, quel «Giulietta e Romanoff» che, per il successo ottenuto, anche qui in Italia, lo indusse a esordire nel cinema questa volta come regista. Proseguendo con «Billy Budd», dal romanzo di Melville e con «Una faccia da...») con Elizabeth Taylor. Recitare, però, gli permetteva di esprimersi meglio, così eccolo dai Sessanta ai Novanta cimentarsi in una coloratissima antologia di interpretazioni via via sempre più felici. Non solo in «Spartacus» di Stanley Kubrick e in «Topkapi» di Jules Dassin, che gli fecero vincere due Oscar, quasi uno di seguito all'altro, ma in quella sua variopinta rilettura dell'ispettore Poirot che, doveva regalarci in «Assassinio sul Nilo» di John Guillermin e in quella sua ricostruzione tra l'ameno e l'astuto del personaggio di Charlie Chan («Charlie Chan e la maledizione della Regina Drago» di Clive Donner), cui si sarebbe rivolto di nuovo una decina d'anni dopo in «Appuntamento con la morte» di Michael Winner. Come attore ebbe uno spazio degno anche nel cinema italiano («C'era un castello con 40 cani») del nostro compianto Duccio Tessari), tornando, per la sua ultima impresa, al cinema di Hollywood grazie a George Miller che gli chiese di interpretare «L'olio di Lorenzo» a fianco di Susan Sarandon e di Nick Nolte. Una storia vera che, grazie al suo talento, si rivelò anche più vera. E reale.

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