Pitt: «Il gladiatore mi ha convinto a impersonare Achille»
Partito - sulla carta - come uno dei tanti kolossal di Hollywood, con un budget di 70 milioni di euro, diecimila comparse, «Troy» si è trasformata in un incubo. Il film era in produzione nel giugno del 2001. La prima metà di settembre, come previsto, la produzione era andata a girare in Marocco. Ma all'indomani dell'attentato alle torri, la situazione era drammaticamente cambiata. I gestori marocchini spiegarono agli americani che non garantivano sulla incolumità dei loro attori. Le riprese vengono interrotte e il film rimandato a febbraio dell'anno successivo, in Messico. Ma proprio nel luogo prescelto, un mese dopo, scoppia una rivolta degli indiani locali. Morale della favola, il film è stato girato negli studios di Los Angeles. E il budget è arrivato a 160 milioni di euro. E per Brad Pitt, protagonista eroico del film, è stata una attesa snervante. Ma finalmente la pellicola arriva su tutti gli schermi e l'attore più sexy di Hollywood si prepara a scalzare dal libro dei record «Il Signore degli anelli», «La Passione» di Mel Gibson e Harry Potter. Se non altro per quanto riguarda gli incassi. Finalmente esce il film, contento «Direi di sì, mi ha bloccato la carriera. Avevo firmato un contratto economicamente molto vantaggioso, che mi imponeva di non fare altri film fintantoché "Troy" non fosse stato distribuito. Mi ero già impegnato con altri registi per fare dei film nel 2003, visto che il film sarebbe dovuto uscire nel settembre del 2002, e invece tutto è stato rimandato di due anni». Un'attesa che valeva la pena? «Penso di sì. Il pubblico vedrà questo film con più entusiasmo». Che cosa c'entra «Troy» con Al Qaeda? «In parte c'entra. Perchè questa voglia e curiosità di rivolgersi alle grandi civiltà sono il segnale di una voglia di ritornare ad una vita più primitiva. Tutta questa situazione folle che c'è oggi con il terrorismo suicida, la guerra in Iraq, adesso anche le bombe in Spagna, rivelano una realtà umana primitiva. Il che vuol dire che oggi se guardiamo ai greci e ai troiani non li vediamo più con l'occhio moderno della civiltà, ma con quello abbrutito di chi sta regredendo». È soddisfatto del suo ruolo? «Sì, molto. Era la prima volta che recitavo in costume, tanto più nei panni di un personaggio davvero antico, e per me è stato molto stimolante. Ho approfittato per studiare un po' la Storia. Ho letto tonnellate di libri per mesi e mesi per entrare dentro quell'atmosfera e quello spirito. La particolarità di questo ruolo è stata una esperienza davvero unica, e sono contentissimo di averla fatta. Ero in dubbio, all'inizio, se accettare o meno, ma poi mi sono fatto convincere». Da chi? Da sua moglie? Dal suo agente? «No. Da Russell Crowe, che è un mio caro amico, un attore che stimo molto (e approfitto di quest'intervista per annunciare che tra quattro mesi andiamo sul set, insieme, a fare un film poliziesco ambientato nella Los Angeles degli anni '40) e i suoi consigli sono stati molto importanti. Lui mi ha sempre detto che aver fatto "Il gladiatore" gli ha cambiato l'esistenza, ma non soltanto per il successo avuto, ma perché recitare in un kolossal impersonando dei personaggi così famosi e così antichi arricchisce moltissimo un attore. Me l'ha detto anche Elizabeth Taylor, una carissima amica. Mi ha raccontato che Richard Burton era molto legato, oltre che a Cleopatra, ai film fatti con Peter O'Toole (Beckett e il suo re, uscito nel 1962) perché parti del genere consentono un lavoro molto profondo su di sé». Pensa che dopo questo film la sua immagine d'attore cambierà? «Spero proprio di sì. Purtroppo - ma lo dico sul serio, senza finta modestia - io ho avuto l'handicap di essere considerato troppo bello e attraente. Per noi attori maschi, infatti, è il contrario che per le attrici donne, essere troppo belli è dannoso, perché si è condannati ad interpretare soltanto certi tipi di personaggi. Non mi sono mai trovato bello, ma a furia di sentirmelo dire dovunque ci h