Paolo Ferrari, l'«orgoglio» che sa di antico
«La Tv oggi impone agli attori ritmi più rapidi. Ma troppi disertano le scuole di recitazione»
Il vecchio gentiluomo ha ostacolato con tutte le sue forze la passione della giovane Anna per Pietro, figlio del proprio fattore. Nell'episodio di questa sera Pietro (l'attore Daniele Pecci) viene arrestato in seguito ad una denuncia fatta ai suoi danni dal perfido Herman, marito di Anna. Nel consueto alternarsi di colpi di scena, Pietro ed Anna organizzano la fuga insieme alla loro figlia, Aurora, ma accadrà qualcosa di inatteso. Paolo Ferrari, interprete di tanti vecchi sceneggiati della Tv degli esordi, attualmente anche impegnato a teatro con «Victor Victoria», racconta se stesso ed alcuni particolari della fortunata serie, gratificata, ogni domenica sera, da otto milioni di spettatori. Quando inizierete a girare la seconda serie di «Orgoglio»? «La sceneggiatura è già pronta. Visto il successo ottenuto, le riprese del sequel inizieranno tra breve. Il prodotto ha fatto subito presa sul pubblico per la maniera romantica ed appassionante con cui affronta l'amore. Lo noto dalle persone che mi incontrano e mi chiedono notizie su Anna e sul finale della sua storia con Pietro. Proprio come accadeva nei primi anni della Tv». Il suo personaggio appare come il padre padrone che vieta alla figlia di amare. Non le sembra alquanto antiquato? «L'aristocrazia di un tempo aveva una disciplina inflessibile che vista oggi può sembrare assurda. E certo lo è. Tuttavia, se di quell'educazione e di quel rigore fosse rimasta una traccia un po' più marcata, forse non sarebbe male». Lei, che a venti anni è stato scritturato addirittura da Giorgio Strehler, in Tv viene ricordato per aver condotto Giallo Club ed aver interpretato la serie «Nero Wolf» accanto a Tino Buazzelli. Come è cambiato, da allora, il modo di recitare? «Negli sceneggiati della Tv in bianco e nero gli attori, provenienti quasi tutti dal teatro, erano abituati a recitare con tempi più dilatati. Oggi esiste la necessità di proporsi al pubblico con una rapidità che ha cambiato i ritmi. È una differenza sostanziale, non riesco, però, ancora a valutare se sia un bene oppure un male. Per chi lavora nel cinema ed in Tv, oggi, si privilegia soprattutto la spontaneità dei giovani attori che, abbinata al talento e all'espressività, è importantissima». Qual è allora la sua valutazione sulla nuova generazione di attori? «Mi considero un vecchio interprete che osserva crescere giovani decisamente bravi. Anche in "Orgoglio" ho lavorato con ragazzi spontanei, volenterosi, espressivi. L'unico appunto da poter muovere loro è la mancanza di una scuola di dizione e di recitazione che li porta, spesso, a parlare in maniera veloce. L'ideale sarebbe coniugare spontaneità e corretto equilibrio recitativo». Lei ha recitato, bambino, accanto a Gino Cervi. Qual è, a suo parere, l'obbiettivo a cui un attore deve mirare? «Ritengo che un attore non debba fossilizzarsi in un genere. E sono restato fedele a tale principio. Giovanissimo ho partecipato come esordiente alla rappresentazione di tragedie greche. L'innato sens of humour che, però, avvertivo dentro di me mi ha spinto verso un genere teatrale dignitosissimo, ma ingiustamente etichettato "leggero". Ma un uomo di spettacolo deve sapersi mettere in discussione. Al punto che ho anche condotto un festival di Sanremo!».