di GABRIELE SIMONGINI OGGI il successo e il destino di una mostra sono già impliciti nel suo ...
Se nel titolo di un'esposizione si ha l'astuzia di mettere il nome di un artista di larga fama popolare allora il gioco è (quasi) fatto: Caravaggio ne è il massimo esempio perchè funziona meglio di tutti come richiamo di masse sterminate, ma non scherzano neppure Van Gogh, tutti gli impressionisti e Picasso, tanto per fare qualche altro nome. Se invece si propone una mostra magari straordinaria e irripetibile ma si usa un titolo vago (come nel caso della strepitosa «L'idea del Bello» presentata qualche anno fa nel romano Palazzo delle Esposizioni) allora sarà inevitabile un magro risultato in termini di visite. È la forza della comunicazione, che ai giorni nostri ha finito col sostituirsi al reale valore di un evento. Indubbiamente conoscono questa regola e la vogliono mettere ben a frutto gli organizzatori della mostra che si apre oggi al pubblico nel Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo sotto il titolo «Da Picasso a Botero. Capolavori dell'arte del Novecento» (fino al 6 giugno). Certo c'è un notevole gusto della provocazione nell'accostare uno dei massimi protagonisti dell'arte del Ventesimo secolo (Picasso) con un artista molto noto ma francamente sopravvalutato (Botero). I curatori della mostra, Giovanni Faccenda e Vittorio Sgarbi, li presentano come i due protagonisti di un'esposizione che comunque annovera molti nomi di rilievo del '900. Perchè questa mostra viene presentata proprio ad Arezzo? Perchè ad Arezzo, nella Chiesa di San Francesco, c'è uno dei supremi capolavori della pittura rinascimentale, il ciclo di affreschi con le «Storie della Vera Croce» dipinte da Piero della Francesca. E, come scrive Faccenda in catalogo, con questa mostra vengono individuati due numi tutelari dell'arte del Novecento: il «classicismo», la trascendenza metafisica della pittura di Piero della Francesca e la psicanalisi di Sigmund Freud, con l'irruzione violenta della dimensione perturbante dell'inconscio. Sono, scrive Faccenda, i protagonisti di «un'arte che ha cercato di portare in luce, in tempi diversi e su due binari di ricerca evidentemente paralleli, quanto di più misterioso e lacerante era dentro l'uomo (Espressionismo) e quanto di più ameno, allo stesso tempo, lo circondava». È una proposta teorica piuttosto confusa che accosta, con la pretesa di valere a livello internazionale, il padre della psicanalisi ad un geniale pittore rinascimentale che è stato indubbiamente fondamentale per molti artisti del primo '900 italiano ma molto meno a livello mondiale. Oltre tutto, potendo la mostra vantare anche opere di Henri de Toulouse-Lautrec, Giorgio de Chirico, Henry Matisse, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Alberto Magnelli, Giorgio Morandi, Alberto Savinio, Gino Severini, era doveroso scegliere un nome più importante da affiancare a quello di Picasso, invece che puntare su Botero. C'è però da chiedersi quanto possano aver pesato le strategie di mercato in un evento sponsorizzato anche da Telemarket (la società specializzata nella vendita televisiva di opere d'arte), a cui è legata anche l'Edizione Torcular del catalogo che accompagna l'esposizione.