Pubblicità nei film, si rischia l'inflazione da etichette
CONVEGNO ALL'AGIS SULLA NORMATIVA INTRODOTTA DAL DECRETO URBANI
La mitica Vespa in bella mostra in «Vacanze Romane». Le Harley Davidson in «Easy rider». La Volkswagen di «Un maggiolino tutto matto». La più famosa gioielleria americana in «Colazione da Tiffany». Per non parlare di Tom Hanks in «Cast wey» ed il noto marchio a stelle e strisce, Fedex, esibito in mille salse. Che cosa hanno in comune questi film? Tante etichette pubblicitarie che hanno caratterizzato pellicole divenute famose in tutto il mondo. Si chiama «product placement», letteralmente tradotto «collocamento del prodotto». Che cos'è? La possibilità data dal recente decreto legislativo sul cinema, di produrre anche in Italia film che contengano marchi pubblicitari o prodotti commerciali, esclusi quelli da fumo. «Cosa fino ad oggi vietata, pena l'impossibilità di contare sui finanziamenti statali. Il marchio bene esibito sarà quindi uno dei protagonisti del nostro futuro cinema, così come avviene peraltro da molti anni all'estero» spiega Sandro Silvestri, responsabile delle relazioni esterne dell'Api (Autori produttori indipendenti), l'associazione che ha voluto raccogliere ieri in un convegno, autori, registi, produttori e pubblicitari per discutere di questo tema. Un provvedimento legislativo accolto con un certo entusiasmo da numerose categorie del settore, giudicato in grado di arginare la crisi in atto, ma che ha anche destato qualche perplessità circa un possibile rischio di sovraesposizione. «Il timore è che i produttori finiscano per condizionare i film alle esigenze dei pubblicitari penalizzando cultura e qualità» hanno affermato in sostanza Alfredo Angeli e Mario Orfini, anche loro registi e produttori. La legge, tuttavia, da questo punto di vista è molto chiara. Nello specifico parla di «marchi e prodotti comunque coerenti con il contesto narrativo». Il legislatore ha voluto con questa norma dare una ulteriore possibilità di finanziamento ai film italiani che vedono ridotto dal 70% al 50% del costo, il massimo contributo dello Stato. Gli argomenti affrontati dai numerosi relatori saliti sul palco dell'Agis, ieri a Roma, hanno cercato di dare risposte a molti interrogativi. «È una grossa opportunità - dice Marina Marzotto responsabile della Gem, azienda che si occupa di creare mezzi alternativi di comunicazione - Da oggi i produttori italiani potranno combattere ad armi pari con i loro colleghi stranieri che potevano attingere a risorse private per budget più ricchi. La sovraesposizione? Farebbe prima di tutto male all'inserzionista che non vuole un placement posticcio, in grado di creargli solo una esposizione negativa. Gli errori in questo campo si pagano sempre a caro prezzo». Giampaolo Letta, che non era presente al convegno, ha dichiarato qualche tempo fa «che non ci sarà una liberalizzazione selvaggia e che comunque la legge farà cadere un velo di ipocrisia, perchè certe operazioni erano già presenti nei film». Punto caldo è ritenuto il rapporto tra cinema e televisione. Ossia, se la pubblicità contenuta nei film venga calcolata nel tetto pubblicitario del piccolo schermo. «Siamo in attesa dei decreti attuativi - ha detto l'avvocato Paolo Leone amministratore delegato dell'agenzia Pma - perchè il problema è l'armonizzazione con le altre leggi». Sulla necessità di aprire un tavolo di confronto tra governo e gente del cinema per arrivare alla formazione del regolamento, si è espresso anche il commissario dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Giuseppe Sangiorgi.