Depp disperato: «Non voglio essere una star»
Difende la sua ultima interpretazione in «Close window». La critica Usa sostiene che la storia è copiata
Venticinque anni dopo «Misery», con James Caan e Kathy Bates, ritorna sullo schermo un classico thriller tratto da un romanzo del mago del genere. «Close window» diretto da David Koepp e interpetato da Johnny Depp e John Turturro è un film molto simile a «Misery», con interni claustrofobici e una tensione costate che mescola il tema della follia alla dinamica del giallo. Il pubblico americano ha amato subito il film, nonostante la critica l'abbia snobbato strapazzandolo alquanto, confermando l'eccezionale momento di Johnny Depp che da un anno a questa parte, dopo l'uscita di «Pirates of Carabbean», è diventato il divo numero uno di Hollywood. Di passaggio da Los Angeles prima di ritornare alla sua Parigi, («il più grande e inaspettato amore della mia esistenza») Johhny Depp ci ha rilasciato quest'intervista. Allora rimane a Hollywood, visto l'enorme successo che sta avendo? «No, grazie. Non appena posso me ne torno a Parigi. Ormai sono diventato cittadino francese e sono contentissimo della mia scelta, non tornerei indietro per nessun motivo al mondo». Neppure adesso che qui in Usa è diventato il divo più famoso? «Tanto meno, ora, se è per questo». Perché? «Ora tutto è cambiato. Quando mi hanno proposto tre anni fa di fare il film sui pirati dei Caraibi ho accettato perché il film aveva una vena surreale e il mio personaggio mi consentiva di giocarmi il ruolo in maniera autoironica, quasi caricaturale. L'ultima cosa che avrei pensato era che il film potesse avere un successo mondiale così poderoso, ero convinto che si trattasse di un filmetto d'avventure per ragazzini. Intelligente ma pur sempre un filmetto. E invece il film ha sfondato dovunque regalandomi un successo d'immagine impensabile. Ora qui a Hollywood mi considerano e mi trattano come un divo dell'Olimpo, il che può far piacere per un pomeriggio, ma non di più. Si è realizzato il sogno narcisista di ogni attore, ma per me, in realtà, si tratta di un vero incubo. Ho incontrato un famoso produttore ieri l'altro che mi ha detto "ti faccio fare qualunque tipo di film con qualunque regista, tanto, ormai, tu, non hai neppure bisogno di una buona sceneggiatura". Lui intendeva farmi un enorme complimento, io l'ho presa come una coltellata. Quindi, me ne ritorno a Parigi dove sono considerato una persona normale. Famosetto ma non più di tanto». Il film appena uscito tratto dal libro di Stephen King è stato trattato piuttosto male dalla critica. Le è dispiaciuto? «Io non leggo mai le critiche, non ho idea di che cosa abbiano scritto. Se il film non è venuto bene mi dispiace. La cosa importante è che piaccia al pubblico. Ma io sono molto soddisfatto del mio personaggio». C'è chi dice che in realtà si tratta di una variante scopiazzata del film «Misery» realizzata tanti anni fa, con lo stesso tipo di atmosfera e una storia quasi identica, lei è d'accordo? «No. Mi sembra davvero una forzatura. Si tratta di un prodotto completamente diverso. Non capisco neppure come possano essere paragonati. Nel film "Misery" c'era uno scrittore che era vittima di una pazza ossessionata; in questo film, invece, è lo scrittore stesso ad essere ossessionato dalla propria follia visionaria. È tutta un'altra cosa. Era per questo motivo che mi interessava fare questo film. A me piace esplorare territori d'inquietudine, sempre in bilico tra realtà e pazzia». C'è un motivo per cui questi territori lo affascinano? «Forse sì. Sono sempre stato considerato un tipo abbastanza strano, quanto meno eccentrico, per non dire abbastanza matto. Io mi sono sempre sentito normale, ma uno deve anche tenere in considerazione l'opinione degli altri. E così la follia mi ha sempre attirato come ricerca». Altri film americani nel suo futuro? «Non lo escludo, ma per il momento no. Nei prossimi due anni mi dedicherò al cinema europeo. Faccio a settembre il mio primo film da produttore/attore/regista, con Gerard Depardieu, Emanuelle Bejart e Roman P