di ENRICO CAVALLOTTI AL PARCO della Musica il pubblico era numeroso all'inizio, alle 19.
E tale è rimasto, senza ulteriori fughe, quando «Tristan und Isolde» di Wagner è finito, intorno alle 24. Gli applausi, che nel corso dell'opera erano stati calorosi ed unanimi, alla fine del terzo atto si sono trasformati in acclamazioni gagliarde e commosse, indirizzate a tutti gli interpreti, orchestra, coro e Banda Musicale della Polizia compresi. Che dire, sotto l'aspetto critico, di questa esecuzione del capolavoro wagneriano in forma di concerto, cantato in lingua tedesca con provvidi sovratitoli in lingua italiana? Innanzi tutto, la proposta di «Tristan und Isolde», fatto salvo il presupposto di un elementare decoro musicale a cui si deve accompagnare, va sempre accolta con favore. Sia perché è un'opera tra le piú belle ed emozionanti di tutto il teatro in musica, sia perché si rappresenta molto raramente in ragione delle difficoltà in cui ci si imbatte nel reperire i giusti e rari interpreti. Il cronista che qui scrive è incline a dare a questa esecuzione wagneriana un voto tra il 6 ed il 7: diciamo un 7-. Che non è assolutamente poco, considerando la cura estrema e la piena immedesimazione nell'arte wagneriana che sempre occorrono agli artisti che affrontano «Tristan und Isolde». E coloro che fossero interessati ad ascoltare questo capolavoro nelle repliche di domani sera o di lunedì prossimo non avrebbero nulla da temere circa l'appagamento che ne trarrebbero. Anzi diciamo che il cronista li sollecita. Anzi, l'altra sera i critici più qualificati e autorevoli erano entusiasti del risultato musicale: loro avrebbero dato un 8, e anche di più, se mai avessero accondisceso alla banalità di tradurre il proprio giudizio critico in un voto. In verità, ciò che affascina ed incanta in questo «Tristano» è la bravura della compagnia di canto, di altissimo livello. Primi fra tutti la Brangania del mezzosoprano Lioba Braun, esemplare nella raffinatezza stilistica e nella morbidezza del porgere, e il Re Marke del basso Matti Salminen, autorevole, scultoreo ed espressivo come un distillato di profonde passioni. Eccellente anche l'Isolde di Violeta Urmana, una voce potente e appassionata che però per la sua spinta drammaticità noi vedremmo meglio in Salome e in Elektra di Strauss. Talvolta incerto e a tratti debole di voce rispetto alle travolgenti ondate orchestrali il tenore Stig Andersen nei panni di Tristan, mentre una memorabile lezione wagneriana ci ha offerto la prestazione nobilissima e marmorea di Alan Titus (Kurnewal). Bene il Coro, che però a volte cantava a voce troppo alta; benissimo l'Orchestra ceciliana portata a risultati pregevoli dal maestro Myung-Whun Chung. Il quale sul piano dell'interpretazione non ha delineato il «Tristan und Isolde» che piace al cronista. Che è il «Tristan» decadente, frutto madido di macerazione, pandispagna di sensualità, ansimare erotico che si scioglie nello struggimento dell'estasi lirica. Chi la faceva così, quest'opera ineffabile, era il sommo Karajan. E nessuno l'ha mai superato. Chung invece ha fatto un «Tristano» assai nervoso, per lo piú stringato e metallico. Novecentesco. Ossuto, a sommesso parere del cronista che qui ha scritto.