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LA TRILOGIA DI FIGARO ALL'OPERA

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La Fracci è affascinante ma Menegatti rovina l'incanto del balletto

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Chiunque sa che insostituibile ingrediente di un balletto è innanzitutto la danza ovvero la strutturazione coreografica, tanto è vero che i grandi coreografi non accettano o semmai inglobano eventuali tratti registici. Nelle produzioni targate Menegati invece tutto il resto prende il sopravvento sulla danza sino quasi a soffocarla. In questo trittico, modellato sulle tre pièces di Beaumarchais (Barbiere di Siviglia, Matrimonio di Figaro e Madre colpevole) tutto il resto funziona a dovere: costumi e scenografia di Annamaria Morelli, esecuzione musicale dell'Ensemble Voces Intimae rinforzate dalle prime parti dell'orchestra dell'Opera, solisti e primi ballerini del Teatro capitanati da una Fracci sempre espressiva. Ma a non funzionare erano proprio le coreografie fossili di Luciano Cannito, nè moderne nè filologiche. E che l'operazione del serial ballet (tre balletti in uno) non funzioni lo dimostra il terzo atto di cui si fa davero fatica a comprendere l'intreccio. Tanto è vero che Menegatti è costretto qui alla stesura di un programma dettagliato per rendere comprensibile ciò che la danza da sola non riesce qui a rendere comprensibile. Altro neo la scelta delle musiche tutte mozartiane, ma tutte cameristiche, dunque inadatte già in origine a qualsivoglia intenzionalità narrativo-rappresentativa. Una lode ai solisti: accanto alla Fracci, Mario Marozzi, Alesandro Molin, Alessandro Riga, Laura Comi, Tiziana Lauri e Mauro Murri.

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