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L'attentatore di via Rasella e l'argento negato a Perlasca

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Quando Rosario Bentivegna fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare ci furono altre proteste. Le ha raccontate lui stesso: «Un ex partigiano, un mercante fiorentino aveva minacciato di restituire la sua medaglia se ne avessero consegnata una anche a me». Norberto Bobbio, il filosofo recentemente scomparso, definì l'attentato un atto terroristico, e un «errore» della Resistenza. Bentivegna fu l'uomo che, travestito da spazzino, accese la miccia che fece esplodere due bombe (una di dodici chilogrammi di tritolo e l'altra di sei) contro l'undicesima compagnia del terzo battaglione del Polizei Regiment Bozen che - alle ore 15 del 23 marzo 1944 - transitava per via Rasella. L'esplosione provocò la morte di 33 militari tedeschi, oltre che di sette civili italiani (fra i quali un bambino). Fu quello l'antefatto delle Fosse Ardeatine, la feroce e disumana rappresaglia nella quale - il giorno successivo - furono assassinati 335 civili. Una rappresaglia che non ha, e non può avere, giustificazioni di sorta. Si trattava di uno strumento di guerra espressamente vietato dalle leggi internazionali, ma al quale i nazisti ricorsero molto spesso. Il 23 marzo 1944, Hitler - informato dell'accaduto - ordinò che fossero uccisi 50 italiani per ogni tedesco caduto. Il comandante delle forze germaniche in Italia, Kesselring, non volle rendersi responsabile di un simile massacro e decise per il rapporto di dieci a uno (che era quello applicato in precedenti analoghi). Da sessant'anni si discute della «responsabilità morale» del commando che aveva eseguito l'attentato di via Rasella, comandato da Carlo Salinari e composto (oltre che da Bentivegna) da Carla Capponi, Franco Calamandrei, Mario Fiorentini, Franco Ferri, Raul Falcioni, Francesco Curreli, Silvio Serra, Fernando Vitaliano, Pasquale Balsamo e Guglielmo Blasi (un "balordo", così lo definì Bentivegna) che avrebbe poi denunciato i compagni. L'Osservatore Romano puntò il dito contro gli attentatori, ricordando le oltre trecento persone "sacrificate per i colpevoli sfuggiti all'arresto". Bentivegna - nel suo libro di memorie, "Achtung Banditen" (ripubblicato in questi giorni) - replica alle accuse, smentendo che fossero stati affissi manifesti che li invitavano a costituirsi: "È una menzogna, una delle tante leggende circolate. La decisione della rappresaglia venne presa nella massima segretezza, e noi ne venimmo a conoscenza soltanto il giorno 25, quando era già stata consumata". Uno storico sereno ed equilibrato, Arrigo Petacco, scrisse ("La nostra guerra") che "non è logico pretendere, come i tedeschi pretendevano, che il responsabile di uno di questi atti si presentasse spontaneamente al plotone d'esecuzione per impedire che gli ostaggi innocenti venissero fucilati: è chiaro infatti che se tutti i resistenti d'Europa avessero accettato il ricatto, sarebbe stata la fine della resistenza stessa". Soltanto in pochissimi casi i responsabili si presentarono, per evitare la rappresaglia, in altri casi furono dei volontari ad assumersi le colpe per salvare la vita di tanti innocenti. Come nel caso di Salvo d'Acquisto. Un eroe (come Perlasca), nella melma di una guerra atroce che di eroi ne ebbe pochi.

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