Il no alla grazia per Priebke, le accuse a Bentivegna: una pagina di storia che non tollera revisionismi
Non si dimentica il criminale che operò nelle carceri di via Tasso e poi nella strage degli innocenti alle Fosse Ardeatine compiuta il 24 marzo del 1944, ed ecco che ora ne commentiamo il sessantesimo anniversario. Ed è sempre attuale e meritata la condanna per crimini contro l'umanità che il tribunale gli ha comminato. L'ergastolo gli si attaglia ancora perfettamente, e in proposito non si può certo invocare la «pietà cristiana», come alcuni tentano di fare, tanto più che Priebke non ha mai chiesto perdono ai familiari delle vittime, uccise brutalmente con un colpo alla nuca. Nei mesi che precedettero l'ingresso della V armata in Roma, la popolazione sotto il tallone nazista viveva in condizioni pietose. Il coprifuoco cominciava alle cinque del pomeriggio, scarseggiavano i generi alimentari di prima necessità. Non c'era più carbone. Ci furono rastrellamenti di cittadini nelle strade in pieno giorno e incursioni nelle chiese, come in San Paolo, dove i fascisti cercavano i partigiani. I nazisti avevano le loro prigioni in cui torturavano ebrei e partigiani in via Tasso, nei pressi di San Giovanni. Giorno per giorno, lungo nove mesi, la «Roma nazista» dava di sé uno spettacolo orripilante. Alle efferatezze dei nazisti e dei fascisti si contrapponeva il comportamento dei romani, eroico per lo spirito di sopportazione e nobile per l'apatico disprezzo con cui riguardavano occupanti e reggicode. Furono due, fra una miriade di violenze e prepotenze, gli episodi più tragicamente dolorosi: la rabbiosa razzia di un migliaio di ebrei e la loro deportazione in Germania perpetrata dalle SS il 16 ottobre del 1943, e la malvagia rappresaglia delle Fosse Ardeatine scaturita dall'attentato di via Rasella, dove i partigiani «gappisti» avevano fatto esplodere nel pomeriggio del 24 marzo una bomba. Il comando «gappista» era composto da sedici elementi tra i quali spiccavano Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Carlo Salinari. Si colpì un reparto di soldati sudtirolesi del reggimento Bozen alle dipendenze delle SS. All'esplosione della bomba seguì il lancio di altri ordigni e una sparatoria che provocò la morte di trentatré militari e un centinaio di feriti. I segni delle bombe ancora oggi si vedono sulle mura delle case di via Rasella. I tedeschi, agli ordini del boia ufficiale Herbert Kappler e del suo assistente sul luogo della strage, Priebke, risposero con la soppressione di trecentotrentacinque — cinque in più rispetto alla proporzione (10 a 1) freddamente stabilita — tra detenuti politici, ebrei e altri innocenti rastrellati nelle vie, sia per vendicare la morte dei trentatré uomini della polizia militare tedesca colpiti nell'attentato, sia per scoraggiare col terrore altre similari azioni partigiane. La rappresaglia fu ordinata da Hitler appunto nella proporzione di uno a dieci, e la lista fu presentata al questore di Roma Pietro Caruso che poi fu condannato a morte e fucilato il 22 settembre dello stesso 1944. Priebke si nascose in Argentina, ma scoperto nel 1997 fu condannato all'ergastolo. Per di più nel 1999 la Corte d'Assise di Roma riconosciuto la legittimità dell'attentato in via Rasella, come un atto di guerra a opera dei componenti del Corpo volontari della libertà.