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Il diavolo in catene a Capo Horn

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Tutti i battelli, i marinai, i corsari del mondo in un'epopea leggendariaVelieri andati a picco, storie di lupi di mare travolti dalle acque: con la stessa forza evocativa di Conrad l'autore cileno documenta la lotta dell'uomo contro gli abissi

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Quella lunga lista potrebbe dilatarsi e proseguire all'infinito, e comprendere tutti gli altri battelli, minutamente descritti dal narratore, che per anni hanno offerto a lui, navigatore impavido, materia per romanzi che rimarranno nella storia della letteratura, non come libri d'altri tempi, si badi, ma piuttosto di una balenante attualità. Il novantenne Francisco Coloane, due anni prima della morte, ha lasciato in eredità al pianeta un testo che compendia un po' tutti gli altri, fermando sulla pagina destini umani dal tracciato ineguagliabile, individui affascinati dagli oceani, estasiati dai grandi spazi, dai sovrumani silenzi, dalla profondissima quiete che si alterna a quei momenti di dura ribellione in cui le acque si gonfiano, spruzzano la bianca spuma dell'onda infuriata. E al contempo, in Naufragi, il fascinoso titolo del romanzo, ecco apparire la pluriforme umanità dei naviganti, lupi di mare, corsari, esploratori, mozzi di bordo, e ancora fascinosi velieri, brigantini, cannoniere, incrociatori, tutti stretti attorno al fantasmatico destino della morte per acqua contro dure e spigolose scogliere di terre sconosciute e remote. Imperizia, malasuerte — direbbero i marinai di lingua spagnola come il cileno Coloane — pazzeschi salvataggi e rischio della propria vita offerta a chi implora un aiuto. Ultranovantenne dunque, a due anni dalla fine, lo scrittore cileno ha voluto trarre un bilancio di un corpus narrativo in cui vita e avventura si fondono di continuo, generando una macchina descrittiva ineguagliabile per forza evocativa e precisione di linguaggio. Frutto certamente delle sue letture giovanili, soprattutto degli insegnamenti di uno scienziato cileno, Francisco Vidal Gormaz, che con pazienza certosina aveva censito un numero enorme di naufragi accaduti sulle coste impervie e frastagliate della sua terra. Coloane le ha registrate e raccolte tutte, quelle storie, e ne ha tratto un libro/testamento in cui romanzo e documento si fondono in termini di tale perfezione da coinvolgere il lettore in una temperie di fantasia e di realtà che il traduttore Pino Cacucci, esperto diffusore di testi narrativi, dell'America Latina in soprattutto, rende con rara efficacia, in particolar modo nei brani in cui la concitazione del raccontare esige passaggi fulminei e folgoranti nel diagramma della descrizione. Basterebbe citare un brano relativo a Capo Horn, il punto nevralgico delle grandi tragedie del mare: «I marinai di ogni latitudine assicurano che là, a un miglio da quel tragico promontorio, testimone dell'incessante duello tra i due più vasti oceani del mondo a Capo Horn, il Diavolo è rimasto ancorato a un paio di tonnellate di catene, che lui trascina facendo gemere i ceppi sul fondo del mare nelle orride notti di tempesta, quando le acque e le ombre oscure del cielo sembrano salire e scendere su quegli abissi». Le vittime di quel muro insormontabile di acqua sono i legni delle navi, a cominciare dalla «Santiago», il più piccolo vascello dell'avventura di Ferdinando Magellano, che di maggio, nel 1520, venne sorpreso da una furiosa tempesta e finì sperduto sulle coste della Patagonia. Non mancano momenti di spettrale interferenza, come accadde con i fantasmi della fregata Essex, nel 1812, quando la storia assunse toni di paurosa e romanzesca avventura, forse la più incredibile nella storia della Marina Americana: «Riuscì a catturare vascelli nelle acque più lontane, visitò i mari e le isole più segrete, rimase a lungo sotto l'incanto delle Encantadas, e finalmente esalò valorosamente l'anima, combattendo contro due fregate inglesi nel porto di Valparaiso». Succede anche questo, indimenti

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