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«Passion fa palpitare il Vangelo»

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La proiezione è avvenuta in via Margutta, a pochi passi da quella che fu l'abitazione di un altro gigante della regia cinematografica, Federico Fellini. Le due ore di proiezione si sono concluse con un silenzio impressionante: tutti hanno approfittato degli interminabili titoli di coda e della semipenombra che indica la fine dello spettacolo, per prendere il fiato. Nessuno commentava con il vicino. Era come se tutti avessero ricevuto in faccia una sberla colossale. Erano intontiti. Incapaci di rientrare nella normalità. E lo erano perchè il film di Mel Gibson non solo è un capolavoro assoluto, ma è anche un pugno nello stomaco che però non è frutto di effetti speciali o di voglia di stupire ma della pura e semplice riproposizione della pagine del Vangelo che parlano dell'ultima giornata di vita di Gesù Cristo. Noi tutti, di quella terribile giornata che ha cambiato il corso del mondo, abbiamo un ricordo fatto di parole o, tutt'al più, di dipinti. La via Crucis, del resto, viene spesso percepita come una sorta ballata triste ma non insopportabile. Solo le statue del Sacro Monte di Varese (così care a Giovanni Testori forse anche per la loro cruda descrizione delle stazioni che hanno portato Cristo alla morte) si avvicinano agli estremi della «Passione» secondo Gibson. Ma le statue, per quando esse siano realisticamente delle maschere di dolore o di paura, sono immobili, non piangono, non urlano, non gemono, non vengono scorticate dalle scudisciate o trafitte dalle lance. Il sangue disegnato sulle loro membra è raffermo. Il sangue che sgorga dalle ferite di Cristo in questo film è invece il segno di una vita che, con indicibile strazio, si allontana dal fisico possente di un uomo nel pieno dell'età. Gibson ha dato al Vangelo, immagini, suoni, voci. Lo ha trasformato, da pagina di storia, in uno spaccato di vita. E lo ha fatto in modo sublime. Ad esempio, per sottolineare la sua totale adesione al testo evangelico, Mel Gibson, con una scelta molto rischiosa ma che, con il senno di poi, si è rivelata anche molto felice, ha fatto parlare i protagonisti del suo film nella lingue del tempo: latino, ebraico, aramaico. E le ha tradotte nel sottotitoli. Ieri, questi, li abbiamo letti in inglese ma dal 7 aprile, nelle sale italiane, li si leggerà nella nostra lingua. Dire che questo è un film antisemita più che un'eresia è una stupidità, significa guardare il dito mentro questo ti indica la luna. Nel film di Gibson, come del resto nelle pagine del Vangelo, ci sono degli ebrei feroci, vendicativi. Gente che preferisce liberare il feroce Barabba e condannare a morte il mansueto figlio di Maria. Ma nel film di Gibson i protagonisti più feroci, più sadici, più grossolani, più disumani, più belluini, più volgari sono i romani. La soldataglia agli ordini di Ponzio Pilato è formata da avanzi di galera raccolti da tutti gli scarichi sociali del mondo allora conosciuto. Nel racconto di Gibson (peraltro aderente totalmente, ripeto, alle parole del Vangelo) la figura di Ponzio Pilato, ad esempio, risulta meno menefreghista sulle sorti di Cristo di quanto non l'avessimo tutti percepita. E anche il personaggio di Giuda Iscariota è più complesso e dilaniato e sofferente di quanto la vulgata che lo riguarda ci aveva fatto capire. Il film di Gibson è un film cristologico. Su quest'uomo che ha deviato il corso della storia come dimostrano gli anni che si contano dalla sua comparsa sulla terra. Un uomo-uomo e un vero dio. E Gibson mette assieme queste due realtà inconciliabili. Attraverso un'agonia umana, umanissima, racconta la storia del Dio che si è fatto uomo per redimere l'umanità. Infine una notazione. Il meraviglioso film di Gibson, che è stato girato a Matera come esterni e a Roma negli interni, si è avvalso del know how cinematografico ro

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