Non creiamo mostri con la scusa di curare
Il primo, protagonista dell'omonimo romanzo di Mary Shelley, voleva farsi simile a Dio costruendo un uomo nuovo con pezzi di cadaveri. Il secondo, protagonista di una trilogia di Thomas Harris (Il drago rosso, Il silenzio degli innocenti, Hannibal), è il famoso psichiatra cannibale. Ecco, a me il chirurgo francese Laurent Lantieri dell'ospedale «Henri Mondor» di Créteil (Parigi), così come i suoi due colleghi, l'inglese Peter Butler del «Royal Free Hospital» di Londra, e l'americano John Barker dell'Università di Louisville (Kentuky), fanno pensare proprio a Frankenstein e a Lecter. Infatti, si sono detti prontissimi a trapiantare la faccia di un cadavere su quella di una persona che ha il volto sfigurato. Per fortuna, prima a novembre l'Accademia di Chirurgia britannica ha giudicato questo tipo di trapianto «prematuro» finché non ne sarà pienamente valutato «l'impatto psicologico», mentre di recente, il 2 marzo, il francese Comitato Consultivo Nazionale di Etica ha a sua volta dato parere negativo all'operazione perchè «il volto è qualcosa di assolutamente personale» le cui espressioni non possono certo venire trapiantate da un cadavere ad un vivente. Infatti, non si tratta di un organo interno, nascosto, come cuore, fegato, polmoni, reni e quant'altro (e già qui ci sarebbe molto da dire - ed è stato inutilmente detto - sui metodi usati), e non si tratta nemmeno di un semplice trapianto di pelle ustionata con altri lembi di pelle. Perché si tratta del «distacco di tutto o parte di una faccia - pelle, carne, muscoli, nervi ed eventualmente ossa - prelevata da un cadavere», si tratta della «ricostruzione del viso attraveso il trapianto di parti prelevate a donatori morti: muscoli facciali, mandibola, labbra, orecchie, naso, in pratica il trapianto della faccia». La conseguenza, dunque, sarebbe alla fine quella di perdere la propria faccia per sfigurata che sia ed assumerne un'altra: in tutto o in gran parte il volto di un cadavere, di un «donatore» morto, diventando così, esteriormente, una persona diversa da quella che si era stati fino a quel momento... La questione ha due aspetti: quello medico-legale, con il consenso dei parenti del «donatore», con la possibilità del rigetto di pelle, carne e muscoli estranei e relativi gravissimi problemi eccetera eccetera; e quello più strettamente etico, psicologico, diremmo intimo, interiore. Aspetto, quest'ultimo, sottolineato dagli enti che hanno dato parere negativo. Naturalmente con la scusante di «far del bene», di «aiutare», di «curare», dimenticando che il cosiddetto accanimento terapeutico è peggio del male stesso, certe volte peggio della morte stessa. Eppure, come ha spiegato la psicologa Jocelyn Magne, che lavora ad un centro per grandi ustionati francese, «l'identità di un individuo si fonda sul volto: durante l'infanzia l'essere umano costruisce una rappresentazione di sé basata sull'immagine che lo specchio gli rinvia». Il «trapiantato» avrà perso la sua faccia e ne avrà una nuova, quella di un morto sconosciuto. Quali le conseguenze? Sono numerosi i romanzi e i racconti che parlano della nuova personalità assunta dai trapiantati dopo l'operazione, oltre al recente film Face-Off con John Travolta e Nicholas Cage: il pianista che ha le mani di un assassino e comincia a comportarsi di conseguenza, l'uomo che ha il cuore di un altro e si innamora della vedova di quest'ultimo, e così via. Fantasie letterarie, si dirà. Ma ad avere i tratti somatici di uno sconociuto, ad aver perduto il volto che è stato il nostro stigma per decenni che si proverà? Ha detto Paul Villain, presidente della Associazione Grandi Ustionati francese: «Chi ha subito un grave incidente preferisce che vengano utilizzati lembi del proprio corpo, ricostruirsi una identità accettabile con ciò che resta della propria»", ed ha aggiunto: «Immaginiamo che il pazien