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Hollywood riscopre le botte da orbi

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E bene ha fatto Hollywood ad impadronirsene con un film come «Il tesoro dell'Amazzonia», un divertente film d'azione in uscita oggi ma che avrebbe tranquillamente potuto intitolarsi «Più forte ragazzi» od «Altrimenti ci arrabbiamo», tanto per citare due colonne portanti del lungo e fortunato filone inaugurato da Terence Hill e Bud Spencer. Di quei film «Il tesoro dell'Amazzonia» ricorda anche l'ambientazione: la giungla brasiliana, in cui viene spedito un gangster dal pugno di ferro ma dal cuore tenero (l'ex lottatore di wrestling «the Rock», già visto con successo sullo schermo nel «Re Scorpione» e nel secondo capitolo de «La Mummia») incaricato di riportare a casa Travis, il figlio del suo boss, un ragazzaccio dalla parlantina sciolta interpretato da Sean William Scott (lo studente assatanato di sesso protagonista di «American Pie»). Ad ostacolare il ritorno a casa della strana coppia, un gruppo di guerriglieri guidati dalla splendida mulatta Rosario Dawson (anche lei già vista da poco: era la fidanzata di Ed Norton nella «25^ ora») decisi ad impadronirsi di un preziosissimo, antico gioiello caduto nella mani di Travis. Vendendolo, i ribelli vorrebbero scacciare dal loro territorio l'avventuriero Hatcher (un «vilain» interpretato con divertimento e bravura dal solito Christopher Walken), il quale sfrutta la popolazione locale costringendola a lavorare in una colossale miniera d'oro. Una trama lineare, che serve unicamente a mettere i protagonisti nella condizione di divertire, secondo un copione già ampiamente collaudato e basato sulla «strana coppia» formata da uno «grosso» (come si definiva in «Trinità» Bud Spencer alias «Bambino») e veloce con i pugni e l'altro, invece, spiritoso ma svelto ancor più con le parole (il Terence Hill che in alcuni altri titoli, come ad esempio «Anche gli angeli mangiano fagioli», fu sostituito dall'altrettanto bravo Giuliano Gemma). Già, di «divertire»: il che non significa solo far ridere, ma anche intrattenere. Con inseguimenti, pugni, spari, un po' di esotismo, gran ritmo ma soprattutto con ironia. A palate. Ed autoironia. A vagoni. A scoprire il mix, insieme a Philippe De Broca (che aveva a disposizione il talento di Jean-Paul Belmondo da «L'uomo di Rio» a «L'uomo di Hong-Kong«», è stato Enzo Barboni, alias E. B. Clucher. L'inventore, appunto, della serie di Trinità. Film campioni d'incassi per anni. E poi dimenticati, come sempre succede da noi quando un genere, dopo una spremitura totale, non «tira« più. E invece, con «Il tesoro dell'Amazzonia» Peter Berg, già autore del perfido «Cose molto cattive» con Cameron Diaz, mostra di aver imparato la lezione di Barboni, ma anche di Giuseppe Colizzi e di tanti altri. E di essere un ottimo erede. Non c'è da farla tanto lunga. Del resto, ormai, anche il Chianti lo fanno buono anche in Cile od in Sudafrica. Talmente buono da superare quello italiano. A volte.

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