Ora l'industria preme alle porte Fragile e già in bilico la difficile scommessa del prodotto artigianale
Paradossalmente anche Tony Renis è d'accordo, ma intanto quest'anno non si è potuto fare di meglio. Anzi, le scollature emerse negli anni passati sono diventate delle vere e proprie voragini, riguardanti non soltanto gli artisti in gara, dunque associati alle major, ma anche i distribuiti, gli ospiti italiani e internazionali. L'avvicinamento all'ultimo momento della Universal - la casa discografica che detiene la quota mercato più alta - non ha fatto altro che complicare le cose. La battaglia, anche un po' personale, che il direttore artistico sta combattendo in questi giorni, rischia di assumere toni epocali. Se riuscisse a dimostrare che in fondo è possibile organizzare il Festival di Sanremo ignorando i grandi gruppi discografici, sarebbe la svolta, difficile da arginare in seguito. Intanto sta portando a casa la rassegna in accordo con l'Afi, la storica associazione fra discografici nata nel 1933, agli albori della discografia. Fu proprio dall'Afi che nel 1992 si staccarono le società multinazionali dando vita alla Fimi, a cui in seguito si aggregarono altre case discografiche. In questi ultimi giorni la Fimi ha avuto un atteggiamento sprezzante, sostenendo che i problemi della discografia sono molto gravi, altro che Sanremo. Da parte sua Renis non rinuncia alle sue quotidiane frecciatine, sostendo che se si è arrivati a questa situazione di non ritorno la colpa è solo dei discografici. Ma se la strada del prossimo futuro, magari confortata da ascolti accettabili, dovesse essere questa, sarebbe auspicabile un punto d'incontro. Quest'anno, per esempio, al festival, pur mantenendo quell'assetto «indipendente» fin qui vincente, sarebbero bastate un paio di presenze, diciamo un Gigi D'Alessio per il sud e un Gianni Morandi nazional-popolare buono per tutti. Impossibile? Forse no. Sarebbe bastato lavorare con largo anticipo. Intanto la gestione Renis ha introdotto un nuovo modo di lavorare, ignorando quasi totalmente tutti i «filtri» dei cantanti (manager, produttori, impresari, ecc.) generando un malcontento generale ma velocizzando non poco i rapporti artistici. Da lunedi mattina, archiviato il discorso Auditel, il responso passerà sugli scaffali dei negozi di dischi. L'aspettativa è sulla consueta compilation, che per la verità negli ultimi tempi ha dato più dolori che gioie. Quest'anno sarà distribuita da «Sorrisi e Canzoni TV», il più venduto settimanale del settore televisivo, ma anche qui ci sarà da discutere sulle cifre. Le compilation sanremesi negli ultimi anni, con la distribuzione tradizionale, hanno venduto poche decine di migliaia di copie, mentre quest'anno i vantaggi dovrebbero essere evidenti. È pur vero che lo scorso anno Fausto Leali (appartenente al gruppo di cantanti estromessi dalla rassegna) grazie al settimanale ha venduto duecentomila copie. Dunque una tale quota non sarebbe poi così sbalorditiva. A che punto scatta il successo discografico? Ed infine, non è un po' poco puntare solo su una compilation? È così che si vuole risolvere i problemi della discografia, puntando sulla pubblicazione di un disco artisticamente marginale e di fatto episodico?