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Stati e globalizzazione al convegno «Costruire l'identità». Anticipiamo un intervento

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Emanuele Severino ha sostenuto che la sua anima profonda è la techne. In tal senso, forse, l'Occidente è anzitutto Modernità: il mondo del fare, del costruire, del dominare, dell'avere. L'eroe fondatore dell'Occidente moderno - ben l'ha capito un grande storico, David S. Landes - è Prometeo. In una splendida tela di Gustave Moreau, che si conserva nel suo museo parigino, l'eroe che si sacrifica per l'umanità ha gli inequivocabili tratti del Cristo. È il Cristo immanentizzato nell'umanità, perfetta rappresentazione del mito romantico e progressista dell'Occidente che pretende di fare soltanto il Bene per il semplice, tautologico fatto che ritiene sempre bene quel che fa: al pari del vecchio ottimismo storicistico, secondo il quale tutto quel che accadeva era bene perché accadeva ed accadeva perché era bene. Ritenendosi realizzatore del migliore dei mondi possibili, l'Occidente moderno non è disposto a tollerare alcuna forma di civiltà che sia diversa dalla sua ma di pari dignità rispetto ad essa. Ne consegue che l'Occidente moderno è affetto dall'infezione totalitaria espressa dal suo «pensiero unico» che lo conduce a concepire un unico modello di sviluppo per tutta l'umanità. Esso è, inoltre, vittima d'una schizofrenia irremissibile tra la tolleranza e i diritti dell'uomo, valori che ritiene fondanti della sua identità, venera a parole e sostiene di difendere, e il nucleo duro della sua realtà fondata sull'avere e sul fare anziché sull'essere: la Volontà di Potenza. La neoideologia dell'«esportazione della democrazia» proposta dal gruppo dei «neoconservative» ispiratori almeno in parte della politica del presidente George W. Bush jr. si fonda sulla vertigine di questa persuasione di eccellenza. Che poi questa sconfinata volontà di potenza, questa ineusaribile ricerca del benessere finisca col rendere chi cade in questo vortice eternamente insicuro, inappagato, è un altro discorso: ma nasce proprio da qui il rischio della «guerra infinita» nella quale i cantori del nuovo Occidente rischiano di trascinarci. Ma, sul piano delle definizioni, siamo nel campo d'un infinito equivoco. L'Occidente sembra oggi una «cosa» reale, un termine chiaro che indica un soggetto preciso: quella «civiltà occidentale» che, secondo Samuel P. Huntington, corre il rischio di venire assalita da altre civiltà. Peccato che si tratti soltanto, al contrario, di nomina nuda. «Occidente» non è una cosa, una realtà geostorica o geoculturale: è una parola equivoca, che ha subito nel tempo una serie di slittamenti semantici e il cui attuale significato è tanto recente quanto perversamente diverso da come lo intendono molti europei convinti che esso ed Europa siano quasi sinonimi. Il che, intendiamoci, è peraltro etimologicamente vero. Giovanni Semerano ha dimostrato che la parola «Europa» nasce da una radice accadica passata poi nel greco «erebos» e indicante, appunto, il luogo dell'orizzonte nel quale il sole tramonta, laddove la parola «Asia», al contrario, deriva da un altro termine accadico indicante l'alba. Se ci si potesse limitare ai semplici valori etimologici, l'identità tra Europa e Occidente (e tra Asia e Oriente) sarebbe perfetta. Ma questo non è, purtroppo, un lusso che ci si possa permettere quando si vuol evitare di cadere in trappole grossolane. Al di là dell'antica contrapposizione tra Asia ed Europa, celebrata in un passo immortale de «I Persiani» di Eschilo, l'attrazione e la fusione dei valori «orientali» (asiatici) e di quelli «occidentali» (ellenici e poi romani) è passata attraverso le grande sintesi ellenistica, avviata da Alessandro Magno e perfezionata da Cesare e dalla cristianizzazione dell'impero. I termini «Oriente» e «Occidente», nel mondo tardoantico e medievale, sono stati certo utilizzati: ma nella prospettiva del rapporto tra la pars Orientis e la pars Occidentis dell'impero romano uscito dalla spartizione imposta dal testamento di Teodosio, alla fine del IV secolo. Ai primi del XII secolo un cronista d

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