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di ANTONIO ANGELI CURIOSA, instancabile, mutevole: sono questi gli aggettivi di Amélie Nothomb ...

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Mademoiselle Nothomb (ama farsi chiamare così) è in questi giorni in Italia, ieri era alla Feltrinelli della Galleria Colonna a Roma, per presentare quello che, per noi, è il suo ultimo libro: «Dizionario dei nomi propri», edito dalla Voland, e dal 18 febbraio nelle librerie. «Dizionario dei nomi propri» è la storia di Plectrude, una ballerina con una passato tragico, figlia di una donna che ha ucciso il marito e poi si è tolta la vita. Musica per le orecchie degli affezionati lettori di Amélie. In realtà questo è il penultimo romanzo, l'undicesimo. Il dodicesimo, «Antéchrista» che si profila come l'ennesimo successo editoriale, in Italia ancora non è giunto. Delineare i motivi del successo della Nothomb è una piccola impresa, dal momento che i suoi romanzi sono difficili da inquadrare. Legioni di critici, dall'uscita nel '92 di «Igiene dell'assassino» sua opera prima, cercano di definire il genere di scrittura, senza riuscirci. Nei suoi romanzi c'è l'autobiografia, ci sono interminabili dialoghi che sembrano duelli, ci sono gli elementi della favola gotica. Tutto un po' sparso qua e là. Quasi un'opera di depistaggio, più che un percorso letterario. Una delle sue lettrici le ha fatto notare che ogni libro è come un'opera prima. «È vero, è così - afferma - il mio scopo è creare la mia apocalisse in ogni romanzo e ricrearmi in ogni libro». Certo è che lei, dark lady della letteratura che con pallore spettrale e grinta da legionario, pubblica un romanzo all'anno da dodici anni. Il suo libro preferito? «La Bibbia - afferma con convinzione - È quello che mi ha formato di più». E non rinuncia a colorare la risposta di nero: «Per me è stato un libro proibito, i miei genitori me lo hanno vietato perché hanno perso la fede quando sono nata. Forse hanno perso la fede proprio perché sono nata». Belga figlia di un diplomatico nata in Giappone e cresciuta in giro per il mondo Amélie Nothomb nei paesi francofoni ha un drappello di fedelissimi che attendono con ansia le sue opere. Lei ha la ferrea costanza di accontentarli, ogni primo settembre i suoi fan sono certi che in libreria troveranno il suo romanzo. Uno degli elementi ricorrenti dei suoi scritti è l'infanzia, un periodo che appare sempre difficile, doloroso. E ancor più dolorosa è l'adolescenza. «L'adolescenza spesso è vissuta come una prigione - spiega la scrittrice - è un'età in cui il corpo è una prigione e si può regredire, far diventare il corpo stesso uno strumento di oppressione con l'anorressia». E non è un mistero che che lei ha più volte avuto a che fare con questo problema. Ma quando parla della sua infanzia, e non di quella dei suoi personaggi che sono comunque autobiografici, sublima le sue impressioni, le eleva a processo filosofico. «La mia crescita - spiega - è stato un processo hegeliano. «L'infanzia come un periodo di costruzione, la tesi. Poi l'adolescenza incentrata sulla decostruzione, l'antitesi e infine la realizzazione della maturità, la sintesi». Amélie è divenuta la portabandiera di una gioventù disincantata e insoddisfatta che viaggia tra il desiderio di un mondo meno sofferente e la certezza di non poterlo avere. Capelli nerissimi e immagine esteriore da dark anni Ottanta stupisce e affascina con il suo stile diretto, con la capacità nei suoi romanzi di proporre argomenti atroci, che umiliamo e schiacciano la dignità dell'uomo e poi scherzarci sopra. Ironia e stupore sono le erbe profumate del suo giardino. Il suo humor è più nero che mai, per questo stupisce, per questo piace. Sembrerebbe che la cosa più importante della sua vita sia il lavoro, ma lei giura di no. «Non distinguo il lavoro dal resto della vita - assicura - Tutto procede insieme. Ma qualcosa di veramente importante per me c'è, è la curiosità. È questo che dà forza a tutte le cose che faccio».

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