di ENRICO DI CARLO «CARO Ciccillo, queste settimane d'estate resteranno memorabili per me.
Il 31 agosto 1903, due giorni dopo aver concluso la Figlia di Iorio, Gabriele d'Annunzio ne diede notizia all'amico pittore Francesco Paolo Michetti. D'Annunzio aveva iniziato la stesura della tragedia il 18 luglio dello stesso anno, nella Villa Borghese a Nettuno, nei pressi di Roma. Complessivamente, gli furono necessari poco più di quaranta giorni per portarla a compimento, anche se nel Libro Segreto affermerà di averla composta «in diciotto». Il capolavoro (con l'allestimento scenico di Michetti) venne rappresentato, per la prima volta, il 2 marzo 1904 al «Lirico» di Milano dalla compagnia di Virgilio Talli, della quale facevano parte Oreste Calabresi (Lazaro di Roio), Teresa Franchini (Candia della Leonessa), Ruggero Ruggeri (Aligi), Irma Gramatica (Mila) nel ruolo che sarebbe dovuto essere di Eleonora Duse. Fu un vero e proprio trionfo sancito dal pubblico e dalla critica, che accompagnò la rappresentazione durante l'intera tournée. Il 23 giugno arrivò al teatro Marrucino di Chieti, per la «prima» abruzzese. Ai due spettacoli previsti (23 e 24) si aggiunse quello del 25, a prezzi popolari, deciso all'ultimo momento dallo stesso autore per andare incontro alle esigenze di quanti non avevano potuto permettersi di partecipare alle prime due serate. In quei giorni, d'Annunzio fu ospite a Chieti, della famiglia Mezzanotte, e a Pescara a casa della madre. I giornali dell'epoca riportarono, con dovizia di particolari, la cronaca di quelle ore: dai banchetti allestiti in suo onore alle tre rappresentazioni della tragedia, dai discorsi che egli fece in quei giorni, fino all'apoteosi raggiunta la mattina del 24 giugno quando al teatro ricevette la cittadinanza onoraria. Il poeta, in segno di ringraziamento, pronunciò un memorabile discorso, rivolgendosi all'«ardua città che contempla la Montagna incrollabile e riceve il soffio mutevole del Mare», e facendo dono a Chieti del manoscritto autografo dell'opera, oggi conservato al Museo d'arte «Costantino Barbella». In realtà, il manoscritto teatino è quello (per così dire in bella copia) servito alla tipografia Treves per l'edizione a stampa. Esisteva, però, un altro manoscritto: quello che il poeta aveva regalato a Francesco Paolo Michetti e che, alla morte del pittore, il conte Giovanni Treccani acquistò dagli eredi per farne fare una magnifica edizione principe, pubblicata da Emilio Bestetti di Milano. Sarebbe bastato mettere a confronto i due testi per capire quale dei due fosse l'originale. Treccani, invece, interpellò d'Annunzio che, in una lettera del 2 dicembre 1937, scrisse: «Esiste nel mondo della bellezza laboriosa un solo manoscritto - veramente sudato - della Figlia di Iorio. Fu donato da me al mio compagno d'invenzione e di perdizione Francesco Paolo Michetti». A cento anni da quell'evento, il Teatro chietino ha organizzato un ricco calendario di manifestazioni di alto livello culturale che, iniziate lo scorso dicembre, proseguiranno fino al prossimo mese di maggio. Tra gli appuntamenti previsti, si ricordano l'esecuzione della Figlia di Iorio musicata da Franchetti, affidata all'orchestra del Marrucino, diretta da Fabrizio Carminati (12 marzo); il convegno di studi (18 e 19 marzo) durante il quale verrà rappresentato lo spettacolo La testimone velata (tratto dal carteggio d'Annunzio-Duse), di Alfonso Cipolla, con Giovanni Moretti; l'allestimento della tragedia da parte della Compagnia di Prosa e della Scuola di recitazione dello stesso Marrucino, con la regia di Sabatino Ciocca; e una mostra di documenti, costumi originali e scenografie che verrà inaugurata a Pescara, al Museo delle Genti d'Abruzzo, il 30 settembre.