Pluralismo nel miracolo Europa
E tale interpretazione è costantemente intrecciata con le vicende storiche dell'Europa, e in particolare con l'affermazione di quell'ordine liberale che forse è il tratto maggiormente caratterizzante l'identità del Vecchio Continente. Professor Nemo, nella sua opera fa vedere come i principi liberali abbiano una storia antica e siano il frutto di una secolare tradizione di pensiero. Quali sono questi principi e da dove vengono? «Contrariamente a quanto sostenuto dagli intellettuali influenzati dal marxismo, il processo di civilizzazione non procede mediante rotture brutali, bensì è scandito da una continua dialettica tra rotture parziali e continuità fondamentali. Il rifiuto brutale del passato porta sempre ad una regressione della civiltà. La democrazia liberale è il risultato di un lungo processo durante il quale si è prodotto in Europa una sintesi tra civismo e razionalità greca, tra diritto privato romano, etica ed escatologia biblica. Lei sostiene che in Europa si è affermato un «ordine attraverso il pluralismo». Libertà e pluralismo sono stati i «segreti» che hanno garantito un «vantaggio competitivo» alla civiltà europea? «Il primo "miracolo" su cui si fonda l'Europa è l'affermazione, nei tempi moderni, del paradigma dell'ordine "pluralistico" o "policentrico", cioè di un sistema che ha garantito il rispetto delle libertà individuali. Applicato alla vita intellettuale, a quella politica e a quella economica, questo ordine ha assicurato libertà di ricerca scientifica, libertà di stampa, democrazia ed economia di mercato. Da quando le democrazie liberali si sono affermate in Europa, la nostra civiltà ha avuto una superiorità eclatante rispetto ai suoi vicini: la scienza e la tecnologia hanno fatto il balzo in avanti che sappiamo; la democrazia si è rivelata un regime non solo praticabile e stabile, ma anche l'unico che l'uomo moderno possa ammettere. È stata l'economia di mercato, e non le imprecazioni dei millenaristi, a creare la prosperità in Europa e in America. Ma queste istituzioni non si potevano affermare se non in società che avessero promosso una persona umana libera e responsabile». In Italia non sono mancati intellettuali liberali che hanno considerato l'unificazione europea una forzatura rispetto all'ordine liberale affermatosi spontaneamente in Europa. Non ritiene invece che il trasferimento di potere a istituzioni sopranazionali sia una inevitabile scelta per difendere, estendere e "aprire" ulteriormente un pluralismo europeo sempre più esposto alla sfida delle diversità? «A questo proposito Hayek ci offre delle preziose chiavi interpretative. Egli sostiene che dobbiamo innalzare a livello confederale le regole affermatesi spontaneamente, come quelle del diritto civile. È solo in questo modo che l'economia di mercato si può affermare in un ambito più ampio di quello nazionale, ottimizzando così la produttività e la ricchezza collettiva. Da questo punto di vista, la costruzione europea è perfettamente giustificata agli occhi di un liberale. E, nel suo complesso, il diritto europeo affermatosi in questi cinquant'anni è nella sua essenza liberale. Al contrario, per quel che riguarda la fornitura di beni e servizi, c'è un interesse a erogarli più in prossimità degli elettori, a livello di singoli stati e di collettività locali, per ridurre l'irrazionalità e le ingiustizie proprie di una gestione collettiva delle risorse. Per i liberali, ogni burocrazia gestionaria, anche a livello europeo, è un disastro; mentre è una delizia per i socialisti che desiderano massicci trasferimenti sociali. Occorre dunque una grande vigilanza per evitare che l'Unione europea segua una simile deriva».