Doppiatori, bocche cucite. Divi senza parole «Non è una rivendicazione economica. Ci battiamo contro la deregulation culturale del settore»
Quattro assi dello schermo, una voce. Sì, perché sino a tre anni fa tutti parlavano in italiano solo attraverso la fonetica di Ferruccio Amendola, padre dell'attore Claudio, morto nel 2001 a 71 anni. È l'esempio più eclatante dell'importanza del doppiaggio in Italia, dove la star straniera diventa personaggio anche attraverso chi la fa esprimere nella nostra lingua. Proprio per difendere questa valenza culturale che la professione del doppiatore svolge nell'ambito cinematografico e, da qualche anno, televisivo, gli operatori del settore (che comprende, oltre agli attori presta-voce, anche i direttori del doppiaggio e gli adattatori dei dialoghi, quelli cioè che sincronizzano al meglio la traduzione in italiano e il labiale originale) sono scesi sul piede di guerra e hanno incrociato le braccia, pardon si sono "cuciti la bocca". Rischiano così di restare bloccate le uscite dei film, anche quelli provenienti dal Festival di Berlino, e in tv sono a rischio fiction, soap opera e cartoni animati. «Vogliamo subito sgomberare il campo da equivoci - dice Danilo De Girolamo, segretario dell'Anad, associazione degli attori e doppiatori, voce di Vincente Gallo in «Buffalo 66» e narratore nel documentario «Il popolo migratore» - perché la nostra non è una rivendicazione economica. O, almeno, al di là del recupero del tasso di inflazione, siamo certi che un maggiore potere contrattuale, quindi anche economico, può venire alla categoria solo da una rigida normativa. Una serie di regole precise per le cooperative e le società di intermediazione del settore e per i committenti, le grandi distribuzioni internazionali. Partendo dal fatto che noi produciamo, in fondo, cultura e non bulloni. La deregulation che ha scosso il settore del doppiaggio in questi anni ha provocato solo un abbassamento qualitativo del prodotto. A scapito, soprattutto, degli spettatori». La vertenza vede impegnate in prima linea le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil e alcune rappresentanze di settore come l'Aidac (i dialoghisti adattatori), il Sai (attori ma anche doppiatori) e, appunto, l'Anad. Nel cui esecutivo troviamo una delle voci più caratteristiche dei nostri schermi grandi e piccoli. Quella di Sergio Fiorentini, inimitabile quando fa parlare in italiano il "duro" Gene Hackman, come nel recente «La giuria». «Il doppiatore in realtà non sarà mai una professione autonoma - dice Fiorentini - come vorrebbero far credere le tante scuole spuntate come funghi in questi ultimi tempi. Si nasce attori e poi, eventualmente, si può avere il privilegio di dare la propria voce a un artista straniero. Il quale, più è bravo, come nel mio caso con Hackman, più facilita il nostro lavoro. Che è quello di comunicare sentimenti, non didascalie. Il grande attore ti impegna ma ti offre anche tanti spunti per farlo "parlare" nel modo giusto». Il successo del connubio con Hackman ha riaperto a Fiorentini, che ha fatto teatro per tanti anni, anche le porte della Tv. Dove è stato recentemente al fianco del maresciallo Rocca, Gigi Proietti. «A volte doppiare fiction o soap opera, magari recitate malissimo, è più difficile che dare voce ai divi. E ormai la quantità di questo tipo di trasmissioni ha provocato guai seri anche alla qualità della nostra opera. Se noi doppiamo bene, la gente dirà che quel tale attore è bravo. Al contrario, se il livello della sovrincisione non è all'altezza, le critiche sono tutte per noi». Ma il doppiatore ambisce a incontrare le star cui dà voce? «Non ho avuto il piacere di un faccia a faccia con Hackman ma so di colleghi che lo hanno fatto. Il mai dimenticato Pino Locchi conobbe Sean Connery che aveva la sua voce in tutti i primi 007. Fisicamente erano all'opposto ma l'artista italiano si integrò perfettamente con il personaggio che decretò il successo mondiale dell'attore scozzese. Ma vorrei ribadire che l'accoppiata doppiatore-star, tipo Alberto Lionello-Woody Allen, è solo la punta dell'iceberg della nostra professione. Che vede duramente impegnate