di FAUSTO GIANFRANCESCHI È AFFASCINANTE ma pone subito alcuni problemi la mostra inaugurata ...
Già il titolo, «Velàzquez, Bernini, Luca Giordano — Le corti del Barocco», è abbastanza tortuoso. Le corti dell'Europa barocca erano tante, mentre gli artisti indicati sono soltanto tre, e visitando la mostra salta subito all'occhio un vuoto sorprendente: perché manca Rubens che fu uno dei maggiori ispiratori del nuovo stile e che dipinse alla corte di Parigi? Perché manca Van Dyck, che fu pittore ufficiale del re d'Inghilterra? D'accordo, la mostra è centrata sulla seconda metà del Seicento, ma ugualmente non poteva ignorare del tutto i fondamenti artistici del mondo cui si intitola. Tuttavia tali mancanze si spiegano con un'ulteriore osservazione: la mostra è nata a Madrid, e qui a Roma conserva in gran parte l'accento originario. Il curatore Fernando Checa Cremandes spiega nel saggio d'apertura del catalogo che l'esposizione ha l'intento di sottolineare la fioritura di un linguaggio estetico idealmente omogeneo, pur con le naturali diversità, nelle grandi corti seicentesche di Roma (che dava la tonalità dominante), Madrid, Parigi, Vienna. Però la teoria, condivisibile e ben elaborata nel saggio, non si rispecchia a sufficienza nell'esposizione che appare squilibrata giacché illustra principalmente opere spagnole. Se è presente anche Luca Giordano, si deve al fatto che l'artista napoletano ha dipinto per molti anni in Spagna nei palazzi del potere. Per quanto riguarda Bernini, si tratta di un'integrazione romana, una specie di appendice speciale, assai ben curata da Claudio Strinati. Detto questo per completezza di informazione, la mostra è comunque piacevole, interessante e ricca. Sono esposte circa 170 opere, in maggioranza mai viste a Roma. Naturalmente il più forte impatto visivo è dato dal gruppo di dipinti di Velàzquez, per lo più ritratti di corte: «L'infanta Margherita in abito rosa», «Filippo IV di Spagna», «La regina Marianna d'Austria». Sono ritratti di gran classe, austeri e insieme vivissimi; però debbo dire che nessuno eguaglia il capolavoro dipinto da Velàzquez a Roma, il ritratto di Innocenzo X conservato nella Galleria Doria Pamphili; si capisce che a Roma il pittore spagnolo si trovava bene, qui la sua ispirazione era esaltata, qui godeva di una maggiore libertà espressiva, tanto che il re di Spagna per farlo tornare a Madrid dovette inviargli più di un ordine tassativo. La parte della mostra meno nota per i visitatori italiani è quella dedicata ai pittori spagnoli che gravitarono intorno a Velàzquez, prima, durante e dopo di lui. Spicca tra gli altri Juan Carreño de Miranda con opere eccellenti (si guardino «Il grande maestro dell'ordine del Toson d'Oro» e il coinvolgente «San Giacomo maggiore nella battaglia di Clavijo»); molto raffinato anche Claudio Coello, tra le cui opere si ammira il «Ritratto di Donna Teresa Francisca Mudarra e Herrera». La preziosa sezione romana privilegia l'intima religiosità di Bernini. È esposto per la prima volta il «Cristo ligato», una terracotta patinata d'oro; ed è un inedito anche il «Cristo morto coronato di spine», un bronzo dorato. Davvero una «cannonata» come l'ha definito Strinati all'inaugurazione della mostra, è poi il busto in marmo del «Salvatore», l'ultima opera scolpita da Bernini, solo di recente scoperta e identificata con certezza nel convento di San Sebastiano fuori le Mura a Roma. Vale da sola la visita alla mostra.