IN AMERICA, di Jim Sheridan, con Paddy Considine, Samantha Morton, Djimon Hounsou, Gran Bretagna-Irlanda, 2003.
New York e l'America, però, non gli sono estranee perché vi approdò giovanissimo, con moglie e figlie piccole, nella speranza, messa a dura prova, di aprirsi una strada nello spettacolo. Alle spalle aveva un lutto che aveva funestato la sua vita, la morte in tenera età di un fratellino che, nel film di oggi, scopertamente autobiografico, è stato trasformato in un figlio, sempre presente, come un incubo non esorcizzato, nei primi giorni americani di quella famiglia. Giorni, appunto, molto difficili, con il protagonista che tenta l'impossibile per tirare avanti, con sua moglie che, pur comprensiva, si muove a fatica tra quelle due bambine che, oltre a prender parte lì attorno a giochi nuovi (la scoperta della loro prima notte di Halloween), si sostengono a vicenda nel ricordo del fratellino perduto, con cui parla chiedendogli anche di far miracoli. Chiedendoli anche a un misterioso uomo di colore che abita nel fatiscente casamento in cui lì vivono tutti e che alla fine, quasi magicamente, risolverà a quella famiglia certi suoi problemi. Convince soprattutto quella cornice americana che, pur alle soglie della ricca Manhattan, è immersa nel più realistico sfacelo e convince il disegno sempre puntuale anche nelle allusioni visionarie, dei singoli personaggi, adulti e bambini. Coinvolti però in un tessuto narrativo che rischia il sentimentalismo. Pur riscattato dalle immagini buie con cui la regia lo risolve. Anche con l'aiuto di interpreti non molto noti ma validi. G. L. R.