Duecento anni fa moriva il sommo filosofo tedesco che pensò l'uomo moderno
«L'illuminismo - egli scrisse - è l'uscita dell'uomo dallo Stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!». A questo illuminismo - proseguiva Kant - non occorre altro che la libertà, «la più inoffensiva di tutte le libertà», che è quella «di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi». Ragione e libertà: un binomio indissolubile teorizzato e proposto da Kant in un'epoca in cui «da tutte le parti» lui sentiva gridare: Non ragionate! «Non ragionate, ma fate esercitazioni militari!», gridava l'ufficiale. L'impiegato di finanza: «Non ragionare, ma pagare!» E l'uomo di chiesa: «Non ragionate, ma credete!». Il più liberale appariva a Kant il suo re, Federico II il Grande, il quale diceva: «Ragionate finché volete e su quel che volete, ma obbedite». Dunque: «Ovunque - asseriva tristemente Kant - limitazione della libertà». Difensore della ragione umana, Kant è stato anche colui che della ragione umana ne seppe individuare razionalmente i limiti - quei limiti che gli Illuministi francesi prima e gli Idealisti tedeschi poi e successivamente, tra altri, i marxisti ignorarono e vollero cancellare popolando la terra di idoli assetati di sangue generati da una mostruosa «Dea-Ragione». «Io ho dovuto eliminare il sapere, per far posto alla fede Solo mediante la critica è possibile rescindere proprio alla radice il materialismo, il fatalismo, l'ateismo, l'incredulità dei liberi pensatori, la stravaganza e la superstizione che possono essere universalmente dannose, ed infine anche l'idealismo e lo scetticismo che sono più pericolosi per le scuole e che difficilmente possono estendersi al pubblico». Con questo famoso brano che troviamo nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura Kant restituisce all'uomo quello spazio della fede illegittimamente occupato dall'abuso di una ragione acritica. E in tale spazio riconquistato la «ragione critica» torna a Dio come postulato della «ragione pratica». Ha scritto Hans Georg Gadamer che l'intenzione del filosofo di Könisberg fondamentale fu «di mostrare al sapere i suoi limiti per fare spazio alla fede». Kant ci ha insegnato a credere senza dimostrare. «Ho limitato il sapere per fare spazio alla Fede. Questa frase immortale in cui Kant riassume la sua opera costituisce il solo punto di contatto che mai ci sia stato fra il pensiero umano e la Fede, pur fondando la legittimità di quest'ultima senza indurla né dedurla». Così il pensatore cattolico francese Maurice Clavel, padre dei nouveaux philosophes, il quale ritorna a Kant per la ragione che «sì, Kant ha liberato lo spirito da ogni dogmatismo, Dio da ogni filosofia: l'ha messo al sicuro dai dotti e dai sapienti». «Via regale di Kant» dice magnificamente Kierkegaard. «Opera in modo di trattare l'umanità, nella tua come nell'altrui persona, sempre come fine, mai come semplice mezzo». È questa una delle formulazioni, forse la più chiaramente comprensibile, di quell'imperativo categorico che implica il riconoscimento degli altri soggetti morali e quindi il rispetto della loro dignità. Quella dignità che viene, invece, sistematicamente calpestata anche da quei governi, apparentemente benevoli, che sono i governi paternalistici - cioè dai governi che noi oggi diremmo malati di statalismo. A tal proposito scriveva Kant nel saggio Sopra il detto comune: «Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica»: «Un governo fondato sul principio della benevolenza verso il popolo, come il governo di un padre verso i figli, cioè un governo paternalistico