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di GABRIELLA SASSONE ROMA non ci sta.

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«Oltre che alla Fondazione Micol Fontana, l'unica che ci hanno concesso, attaccheremo le grucce con gli abiti storici della couture - da Carosa a Forquet, da Antonelli a Valentino - alle colonne doriche dei Fori di Traiano per farli vedere ai turisti che passano e agli studenti delle scuole d'arte e di moda, oltre 2 milioni e mezzo, che confluiscono a Roma». Stefano Dominella, presidente di AltaRoma e anima delle passerelle d'alta moda è deluso e pronto a «scendere in piazza» per manifestare il suo dissenso, uguale a quello di tutti gli stilisti capitolini. «Mi auguro che ora almeno i grandi saggi del Senato aggiustino il tiro e capiscano che, tra le meraviglie della nostra città, la moda dovrà occupare un posto di rilievo, visto che proprio da Roma è partito il boom del made in Italy degli ultimi 50 anni». L'appello ai senatori arriva anche dagli altri protagonisti del mondo della couture e dal vicesindaco Maria Pia Garavaglia che ha la delega per la moda: «La Fondazione Micol Fontana esisteva già, ed è merito soltanto della caparbietà e dell'intelligenza delle sorelle Fontana. Ma la Fondazione non può essere esaustiva di un museo che rappresenti la storia dell'alta moda e la valorizzazione del made in Italy. Mi auguro che i senatori colmino questa lacuna. La legge doveva istituire un vero e proprio museo della moda nella Capitale». Anche un maestro come Fausto Sarli ha l'amaro in bocca e punta il dito contro le logiche campanilistiche. «Come al solito veniamo trattati come serie B. La moda non è solo Milano e Firenze ma anche Roma. Ogni volta che si parla di finanziamenti seri la Città Eterna viene messa fuori gioco. Non è giusto: l'alta moda è la vera culla della couture e deve avere uno spazio ben definito. Il museo dovrebbe essere una vetrina per i giovani per documentarsi sulle origini della moda». Sarli aveva già in mente una location prestigiosa per il Museo della Capitale: «Avrei creato una mostra permanente al Vittoriano, che pullula di stranieri». Renato Balestra è, se possibile, ancora più severo: «Roma è la Capitale d'Italia ma pian piano ci stanno rubando tutto. Il museo della moda si fa a Milano e a Firenze, per volare in alcune parti del mondo, come l'Oriente e gli Stati Uniti, bisogna prima andare a Malpensa. È una follia totale! Roma meriterebbe molto di più. Spero che i senatori abbiamo un po' di sale in zucca e aggiustino il tiro». La musica non cambia tra i giovani stilisti. «Ci consoleremo andando a Milano a vedere il Museo della T-shirt, frutto del pret-à-porter!», dice sarcastico Marco Coretti, direttore creativo delle Sorelle Fontana. Annuisce Camillo Bona e aggiunge: «Trovo assurdo che Roma, città dell'alta moda e dell'alta sartoria, non venga tutelata dai nostri politici». Non sono solo gli stilisti romani ad essere scontenti. La milanese Lella Curiel spara a zero: «Invece di investire soldi per i musei, li usino per creare scuole di formazione per i giovani! A Roma ho parlato con dei giovani delle Accademie: non sapevano neanche chi era Lanvin!».

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