Charlize: «Sono antipatica e me ne vanto»
Perché è l'attrice meno amata dell'ambiente di Hollywood eppure è riuscita a conquistare il Golden Globe e circola il suo nome per l'Oscar. È Charlize Theron, la sudafricana che un famoso critico Usa ha definito «odiosa, arrivista, arrogante». Domenica sarà il suo giorno in Germania. Sullo schermo della Berlinale passa «Monster», la pellicola diretta dall'ex cantante rock Patty Jenkins. Charlize fa Aileen Wuomos, assassina seriale, personaggio vero, giustiziata nel carcere della Florida nel 2002 per aver ucciso a pistolettate nove uomini. Ventinove anni, Theron deve parecchio alle sue strabilianti gambe. Prima fotomodella, poi l'esordio nel cinema nel '95, accanto ad Al Pacino. Per interpretare il ruolo vincente in «Monster» ha accettato di imbruttirsi sottoponendosi ad un trucco quotidiano della durata di quattro ore. e pur venendo dall'estero lei e' riuscita a conquistare il Golden Globe. E Berlino l'attende come una diva. Eppure Hollywood non la ama. «Non chiedete a me il perché. Io mi trovo abbastanza simpatica. Ma ho il terribile difetto di avere osato di pretendere di essere ascoltata anche per la mia intelligenza e non soltanto per la mia avvenenza. Tutto qui. È una storia molto banale e molto antica». Eppure lei ha cominciato come fotomodella su Playboy. Non la sente come una contraddizione? «Macché. Se per entrare nel mercato per noi donne è necessario all'inizio far vedere il nostro fondo schiena, è giusto sfruttare questo corridoio. Sì, sono antipatica. Ma sono orgogliosa di esserlo. Io volevo essere riconosciuta per il mio talento e non per il mio deretano. Scusatemi se ho "osato" avere delle ambizioni professionali». Come mai non ha iniziato subito la sua carriera come attrice? «La mia vera carriera era quella della ballerina di danza classica. Ma a quindici anni sono scivolata alla sbarra durante un esercizio, tre giorni prima del saggio per andare alla Scala di Milano, e mi sono spezzata un osso. Me l'hanno rimesso a posto ma i medici mi hanno spiegato che non avrei mai potuto diventare una ballerina professionista. Una tragedia immensa per me. Sono andata in depressione e per due anni sono vissuta in isolamento. A diciotto anni mio padre mi ha regalato viaggio e soggiorno a New York. E una volta arrivata a Manhattan mi sono presentata in un'agenzia di pubblicità a cercare un lavoro. Non appena sono entrata dentro, mi hanno detto "con quelle gambe non ha bisogno di nient'altro" e per tre anni ho fatto soltanto della pubblicità». Il Golden Globe in tasca, un'ipoteca sull'Oscar. Arriva più che soddisfatta a Berlino «Ho vinto recitando il ruolo di una donna vera, goffa, brutta, devastata dalla follia. Un ruolo che ha dato pace alla mia ansia di recitare. Per una donna che è sempre considerata un oggetto erotico è un trionfo aggiudicarsi un prestigioso trofeo per essere stata brava». Come mai ha scelto un ruolo tanto forte di «Monster»? «Era la prima volta nella storia che una donna, Aileen Wuomos, finiva nella camera a gas per avere ucciso nove uomini. Il primo caso di assassino seriale di sesso femminile. È diventato il simbolo della parità tra maschio e femmina. Simbolo negativo, ma anche da capire. Oggi siamo così uguali, uomini e donne, al punto che anche noi diventiamo assassine come i maschi. Triste verità. Ma mi interessava esplorare quest'aspetto. Non è un caso, però, che la Wuomos sia diventata un mostro perché è cresciuta passando da uno stupro all'altro».