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di OSCAR OREFICI GIANNI Brera, padre nobile del giornalismo sportivo italiano scomparso in un ...

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L'anno seguente alla sua morte, infatti, la famiglia Brera, per onorarne la memoria, aveva raggiunto un accordo a lungo termine con la Baldini & Castoldi per pubblicare almeno quaranta libri, sostenuti da un'adeguata pubblicità. «Ma la casa editrice - spiega il figlio Paolo - non ha mantenuto l'impegno e, dopo avere dato alle stampe 15 volumi, da oltre un lustro si è dimenticata di mio padre, a volte anche impedendo ad altri editori di intervenire». Per questo motivo gli eredi del giornalista hanno citato in giudizio la Baldini & Castoldi, la cui inadempienza contrattuale è stata riconosciuta nei giorni scorsi dal tribunale civile di Milano, liberando, di fatto, i diritti, ora nuovamente disponibili. Così, adesso, sono già in corso trattative con varie case editrici, interessate alle opere di Brera. Tra gli inediti, vanno segnalate in particolare cinque biografie romanzate, dedicate a Helenio Herrera, il «mago», allenatore della Grande Inter, a Giampiero Boniperti, a Fausto Coppi e ad altri due ciclisti, Pavesi e Campagnolo. «Papà - continua Paolo - era molto prolifico. Perciò saranno anche pubblicati tre romanzi, due raccolte di racconti e una terza, da confezionare, di articoli extra-sportivi scritti per L'Europeo proprio nel periodo precedente alla morte, quando il suo stile era la culmine. Inoltre, è in progetto un libro che raccolga le lettere al direttore, dell'epoca in cui ha diretto il Guerin Sportivo, uno spaccato dell'Italia degli anni Sessanta e dei primi Settanta». Ma c'è ancora tanto Brera da scoprire, fra l'altro un reportage degli anni Cinquanta sull'America pubblicato dal nostro giornale, e da riproporre in libreria. Un professore universitario, che al momento preferisce rimanere anonimo, sta raccogliendo tutti gli scritti del versatile giornalista lombardo sull'atletica, il primo sport di cui si è occupato, nonostante preferisse il calcio e il ciclismo, per volere di Bruno Rogni, allora direttore della Gazzetta dello Sport. «Mio padre - dice il figlio - non sapeva nulla di atletica. Così si è documentato e ha fatto dei veri e propri studi sulla materia per acquisirne le necessarie nozioni. In pratica, ha aperto una nuova frontiera del giornalismo sportivo, fatto di competenza, che si riscontra oggi fra il suoi eredi. Pur se certe sue tesi per così dire razziste,sono state molto discusse». Comunque, il Gianni Brera più amato dalle schiere dei suoi lettori è stato quello calcistico, quando, persino agli inizi della carriera, la cronaca di una partita si trasformava in un godibile racconto. «Le sue teorie difensivistiche - rivela Paolo - non erano dovute esclusivamente al clima e alla razza ma anche alla esperienze vissute da partigiano. Di fronte a forze preponderanti, la tattica migliore era scappare, seguire da lontano i rastrellamenti e, poi, colpire in contropiede». Di Brera colpisce tuttora il linguaggio, straordinario, che attingeva al dialetto pavese, rendendolo comprensibile a chiunque, inserito in una cultura liceale, tipica dei nuovi ceti che sono venuti alla ribalta nel dopoguerra. Da qui le citazioni in latino e greco. Come l'uso di soprannomi che hanno resistito all'usura del tempo: Gigi Riva, Rombo di Tuono, Gianni Rivera, l'Abatino. «Papà, nato a San Zenone - conclude il figlio - era rimasto legato alle sue origini paesane, alla piccola patria, dove tutti hanno un nomignolo».

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